Omelia (19-09-2010)
mons. Roberto Brunelli
L'amministratore disonesto

Disonesto, ma scaltro: chiamato a rispondere al padrone delle sue malefatte, prevedendo di perdere il posto, l'amministratore di un'azienda agricola pensa bene di cautelarsi. "So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua". Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e chiese al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?" Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". Poi chiese a un altro: "Tu quanto devi?" Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".
Di imbroglioni è pieno il mondo, e non solo di quelli noti perché le loro trame arrivano ai giornali e telegiornali. Nulla di straordinario, dunque, in questa parabola di Gesù, se non fosse, a sorpresa, che egli continua lodando quell'amministratore disonesto, "perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne".
E' forse superfluo precisare che di quell'amministratore Gesù loda non la disonestà, ma la furbizia, di cui invece gli onesti sembrano scarseggiare. Come i "figli di questo mondo" (cioè quanti sono presi solo da cose terrene) sono scaltri nel male, non meno scaltri nel bene devono essere i "figli della luce", cioè quanti intendono orientare i propri comportamenti alla luce della fede. A loro il Maestro dice di farsi amici con la ricchezza disonesta, quegli amici che un giorno apriranno loro le porte del Cielo. Ma come si fa? Concretamente, come muoversi? La risposta emerge leggendo le tante altre pagine del vangelo dedicate a questo argomento.
Anzitutto il cristiano non deve attaccarsi ossessivamente al danaro, ai beni materiali, come se da essi dipendesse la sua vita. Nulla abbiamo portato entrando nel mondo, e nulla ne porteremo via; non possiamo poi dimenticare che delle ricchezze di cui veniamo in possesso non siamo padroni dispotici, ma amministratori, che un giorno dovranno presentare i conti. Circa le ricchezze acquisite in modo disonesto, giustizia vuole che anzitutto si restituisca il maltolto, e quando non fosse possibile vanno usate per beneficare i poveri.
Qualcuno dirà: io non ho imbrogliato nessuno; i miei guadagni sono onesti. In realtà, senza volerlo esplicitamente siamo tutti partecipi di una colossale ingiustizia: se il mondo è diviso in paesi e persone ricchi e poveri, è anche perché il mondo è basato su strutture ingiuste, che ammettono più o meno scoperte forme di sfruttamento e di oppressione. Un caso esemplare: è noto che buona parte delle ricchezze di alcuni stati derivano dallo sfruttamento delle risorse di altri. Qualche tempo fa l'opulento mondo occidentale ebbe un sussulto di coscienza, implicitamente lo ammise, e fece un gran parlare del debito pubblico che affligge i paesi del terzo mondo; riconobbe l'opportunità di condonarlo; ma dopo le chiacchiere tutto rimase come prima.
Il lettore potrà obiettare: che c'entro io? Non l'ho voluto io, quello sfruttamento, né posso io rimettere i debiti degli stati. Obiezione fondata, da parte di chi non detiene il potere politico; ma resta il fatto che di quelle ingiustizie molti di noi godono i frutti. E dunque, anche per questa ragione un cristiano deve farsi sensibile verso gli indigenti, siano essi tra noi o dall'altra parte del mondo: quello che diamo loro, a ben guardare è soltanto una parziale restituzione. Anche così si apriranno per noi "le dimore eterne".