Omelia (00-00-0000)
don Luciano Sanvito
Una fine...senza fine

E' di questo che dobbiamo avere paura, ci dice il ricco epulone dall'altra parte di quell'abisso invalicabile: che le nostre realtà vadano a buon fine, che non facciano la fine di quello che è lui ora: essere in una fine che continua senza fine, a gravare su di lui.

Salvatevi almeno voi! - sembra voler dire con quel desiderio di mandare ai parenti l'avvertimento a non finire in questa situazione di disgrazia infinita.

Il destino umano è in gioco, ci vuol dire la parabola, ogni volta che ci atteggiamo a una situazione finita o che facciamo finire. Lazzaro, fatto finire sotto la mensa del ricco, diventa infinito e metro di giudizio di fronte alla fine dell'epulone. Se il nostro rapportarci con la cose finite perde senso e valore, ecco che diventiamo anche noi ospiti di quell'abisso invalicabile destinato a far finire all'infinito quello che siamo.

Il cammino quotidiano ci regola di fronte a quell'abisso, orientandoci a esso ogni volta che confidiamo nelle realtà finite (e che quindi ci fanno finire dentro l'abisso); quando invece illuminiamo i nostri comportamenti alla luce delle realtà finite (Lazzaro), ecco che rendiamo noi infiniti, e superiamo la soglia di quell'abisso proprio grazie alla situazione finita che ci sta davanti.

Nell'abisso cadiamo quando da soli (e con le nostre finitezze) vogliamo essere infiniti; ma se illuminiamo le nostre finitezze, entriamo nell'infinito.