Omelia (08-08-2010) |
mons. Roberto Brunelli |
In attesa del giorno Domenica scorsa abbiamo ascoltato la breve parabola dell'uomo ricco che fa progetti su come godersi i suoi beni, ma scioccamente perché subito muore: con il conseguente invito di Gesù ad arricchire piuttosto davanti a Dio. Il vangelo di oggi riprende lo stesso ammonimento ("Procuratevi un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma") e aggiunge: senza aspettare, perché non sapete quando sarete chiamati a presentarvi davanti a Dio ("Tenetevi pronti, perché il Signore verrà nell'ora che non immaginate"). La necessità di essere pronti a quell'incontro decisivo torna spesso nei discorsi di Gesù (basti ricordare le vergini sagge e le vergini stolte: Matteo 25,1-13). Nel brano odierno egli la sviluppa con la parabola dei servi che aspettano il ritorno del padrone, pronti ad aprirgli anche se tarda e rientra in piena notte: per questo tengono le luci accese e la cintura ai fianchi (gli uomini allora portavano una veste lunga sino ai piedi; la cintura serviva a tenerla sollevata quando occorreva essere agili nei movimenti). Sorprendente sarà allora l'atteggiamento del padrone: se li troverà pronti, sarà lui a stringersi le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà lui a servirli! Con questa parabola ambientata di notte, Gesù prospetta la vita come una veglia d'attesa, che prelude al giorno luminoso della vita eterna. Per potervi accedere bisogna essere pronti, con i conti in ordine, nella consolante prospettiva che, "di là", non saremo più noi a servire Dio, ma lui stesso ci accoglierà alla sua mensa, cioè ci assicura il massimo degli onori e della felicità. L'immagine della vita terrena come una veglia notturna in attesa del giorno era già stata accennata dal profeta Isaia, che parla del soldato trepidante nei rischi dell'oscurità, e anelando alla luce chiede: "Sentinella, quanto resta della notte?" Nelle parole di Gesù, però, la "notte" della vita terrena non è un tempo vuoto, durante il quale si può solo cercare di resistere alla paura di oscure minacce e pericoli incombenti. E' invece un tempo attivo, in cui darsi da fare al meglio delle proprie capacità perché, si dice sempre nel brano odierno, "a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto". Come risulta dalla parabola dei talenti (Matteo 25,14-30), tutti, chi più chi meno ma tutti ne sono stati dotati, e tutti sono invitati a farli fruttare. Chi pensa di non averne, in realtà non si è sforzato di scoprirli; chi dà spazio alla noia, è perché non li valorizza. Fondamentale è poi il modo e il fine per cui un uomo usa i propri talenti, siano essi l'intelligenza, la salute, la formazione ricevuta, o il tempo e i beni di cui dispone. Circa il modo e il fine, due sono le vie: quella di chi concepisce la propria vita nei limiti angusti del tempo presente (e allora in genere sfrutta i talenti solo a proprio vantaggio) e quella di chi opera con un orizzonte più ampio, in vista del giorno senza tramonto. La seconda prospettiva non annulla le difficoltà della vita presente, ma consente di vederle in un'altra luce, di affrontarle con un altro spirito, e orienta ben diversamente l'uso dei talenti di cui ciascuno è dotato. Niente egoismi, interessi di parte, macchinazioni subdole; niente ansie di avere di più, e delusioni quando non ci si riesce. Chi si preoccupa di fare il bene sa che, davanti a Dio, ancor più dei risultati conta l'intenzione; chi intende accumulare il suo tesoro nei cieli, in certo modo alla vita dei cieli già partecipa perché - sono sempre parole del Maestro - "dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore". |