Omelia (08-08-2010) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Evitare la ruggine senza ferox Amore al prossimo, disponibilità al servizio, donazione agli altri a tutti i livelli. Sono concetti assai ricorrenti che mostrano l'urgenza della loro attuazione, perché noi ci si renda credibili e attendibili nella testimonianza evangelica. La carità del resto, come si è detto tante volte, è la nostra fede in atto, cioè l'esteriorizzazione pratica della nostra fiducia libera e incondizionata al Signore. Se c'è una virtù praticando la quale si è certi di realizzare in ogni caso la volontà di Dio, questa non può consistere che nella carità pratica ed effettiva, senza riserve o restrizioni. In questa pagina di vangelo odierna si pongono tuttavia le fondamenta e le condizioni per l'esercizio di questa virtù, affinché l'amore verso gli altri diventi effettivamente estemporaneo e scevro di falsità e doppiezze, mirando realmente al perseguimento del bene dei fratelli. Se infatti non si coltiva previamente la distanza dai beni materiali, se ci si lascia avvincere dal fascino dei beni di questo mondo la cui scena è passeggera e illusoria (cfr 1Cor 7, 31) non si potrà mai disporre di un cuore spassionato e disinvolto per il prossimo: l'accanimento e l'ansia per l'accumulo delle futilità e delle banalità destinate ad uscire di scena non può che illuderci di false sicurezze nella fattispecie di beni solo apparentemente appaganti e forieri di benefici, ma in realtà sottoposti alla ruggine e al tarlo. Quando un oggetto si arrugginisce e si consuma, può perdurare ed essere utile fintanto che la ruggine non ne ha pregiudicato l'utilità o la possibilità di utilizzo: quando la ruggine ha corroso anche gli ingranaggi senza che nessuno abbia posto opportuni provvedimenti, allora avverrà che l'oggetto, il macchinario o struttura che sia, non potrà essere più utilizzata e perderà il suo valore. Così avviene, in senso traslato, di tutti i beni di questo mondo il cui fascino accattivante e seducente sono la nostra ingannevole attrattiva: essi sono costantemente minati da una ruggine corrosiva che nessuno smalto o vernice può mai prevenire o scongiurare, poiché possiedono in se stessi un carattere di soddisfazione e di benessere solamente momentaneo, destinato a trasformarsi in delusione e vacuità. Oro, argento, denaro, possedimenti materiali considerati in se stessi e ogni altra sorta di tesoro materiale, a ben vedere non hanno mai soddisfatto né lasciato sereno nessuno e la soddisfazione che essi arrecano è solamente momentanea e fittizia, visto che chi più possiede, più tende ad accumulare senza raggiungere lo scopo dell'appagamento pieno e definitivo. Quale ruggine o tarlo è più lesivo e pernicioso della futilità intrinseca di un oggetto? Quale ruggine è peggiore dell'inganno che traggono le futilità terrene? Per meglio dire, quale ruggine o corrosione è più deleteria della nostra cupidigia, dell'insaziabile aspirazione al possesso della frenesia del guadagno sproporzionato, che ci porta a considerare oltre misura beni materiali e le ricchezze di questo mondo? Poiché non sono i beni materiali in se medesimi a costituire il tarlo distruttivo, quanto la bramosia smodata e insensata che possiamo nutrire verso di essi, la spregiudicatezza e la sproporzione nel tendere ad accumularli, l'avarizia e il feticismo con cui si tendono ad idolatrarli come fini anziché mezzi. La ruggine risiede insomma nelle false sicurezze che erroneamente possiamo costruirci attorno ai beni materiali e nell'avidità della nostra corsa verso di essi e non può che essere un corrosivo deleterio e irrimediabile. Aspirare oltre misura ai beni materiali e lasciarsi avvincere dal morbo della cupidigia e della vanità comporta inevitabilmente il divenire schiavi degli stessi ogetti che si dovrebbero dominare e sfruttare allo stesso scopo strumentale e di conseguenza anche autocondannarsi ad una vita caduca, banale e assillante nelle angosce e nelle perdizioni della propria instabilità personale. Le ambizioni al guadagno e agli alti livelli di potere e di ricchezza e l'accumulo dei beni non può che condurre infatti allo stato deplorevole di smarrimento personale e alle felicità illusorie poiché chi più raccoglie più resta insoddisfatto e tende ad accumulare ulteriormente. Tignola, tarli e ruggine non consumano invece chi procaccia quale primo obiettivo sicuro e promettente il Regno di Dio, che è la presenza del Signore come unica certezza in mezzo a noi, che è sinonimo di libertà e padronanza di sé, di affrancamento dalle catene inutili e lesive e garanzia di sicure soddisfazioni che si ottengono nel dare piuttosto che nel ricevere. Resistere alla cupidigia e vincere la brama di possesso con la generosità di concreti atti di donazione, non soccombere all'ingannevole attrattiva del guadagno e del potere è alla radice della carità e siffatta liberazione ci proviene da una fede radicata e provata che apporta sempre copiosi frutti, così come ce li illustra il cap. 11 della Lettera agli Ebrei (II Lettura): come la fede è capace di grandi cose perché ottiene la grazia del Signore, così essa è capace di debellare la ruggine della malizia e della perversità per aprire il cuore alla carità sincera e operosa, i cui risvolti non si faranno attendere. Saper dominare se stessi e sprezzare le seduzioni mondane è certo una virtù il cui esercizio richiede uno sforzo continuo non indifferente; si tratta di un dominio di se stessi che non si consegue se non dopo lunghe e tenaci lotte che hanno per avversarie le nostre stesse passioni, i vizi e le insidie di noi stessi; il che comporta vigilanza ferrea e categorica contro quanto ci è di ostacolo alla vera realizzazione. Tuttavia la fede in Colui che ci da la forza può ottenerci che noi ci liberiamo di quanto è inutile per essere noi utili agli altri, rendendo possibile ed effettivo il traguardo della perfezione. Il premio dell'essere stati vigili, desti e solerti nell'amore comporterà il dono da parte del Signore che non solamente elogerà i suoi fedeli esaltando le loro disposizioni ed encomiando i loro preziosi frutti, ma... "Si cingerà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli." Rendendosi così perfino schiavo dei suoi servi e dei suoi fedeli... E nei restanti paragoni fra padrone - servo - servi la pedagogia evangelica non omette di sottolineare che non è nella logica della paura del padrone o del timore di una sua probabile punizione che noi si debba vivere la dimensione del Regno nell'amore, ma nella semplice convinzione che la vera utilità e il vero progredire di noi stessi e degli altri si rende effettivo solo nel servizio. |