Omelia (18-07-2010) |
don Roberto Rossi |
L'amore a Cristo nel prossimo Nella prima lettura, Dio si presenta come ospite ad Abramo (la tradizione cristiana ha sempre interpretato i tre uomini, o angeli, visti da Abramo come simbolo della Trinità); nella lettura evangelica Gesù è accolto come ospite nella casa di Marta e di Maria. Un tema, questo dell'ospitalità, che nella nostra società individualistica e anonima è tutto da riscoprire. La Bibbia ci aiuta a capire in profondità che cosa è l'ospitalità; essa non è solo un segno di umanità, ma un aspetto del comandamento nuovo di Cristo; accogliere l'ospite, cioè il forestiero, per noi cristiani significa accogliere Cristo stesso che si è identificato con tutti i bisognosi e che, nell'episodio dei discepoli di Emmaus, ha preso lui stesso l'aspetto di un pellegrino; significa aprire la propria casa - come fecero Abramo, Marta e Maria - per far riposare Gesù che passa ancora oggi ed è in viaggio per il mondo. Dirà Gesù: «Qualunque cosa avrete fatto a uno di questi, lo avete fatto a me». Significa, ancora, ricordarci che tutti noi siamo su questa terra ospiti, cioè forestieri e di passaggio, in cammino verso il Signore. Un secondo aspetto che emerge nella liturgia di oggi è il bisogno dell'ascolto della Parola di Dio e il rapporto tra azione e contemplazione, tra la vita materiale e vita spirituale, tra le tante cose che facciamo in una giornata e il posto che diamo a Dio. Gesù è accolto nella casa di Marta e Maria. "Marta si affatica a preparare, perché vuole offrire una ospitalità dignitosa; Maria invece dimentica tutto e si ferma ad ascoltare Gesù. Abbiamo sentito il racconto. Ad un certo punto Gesù dice: "Marta, tu ti preoccupi per molte cose, ma una sola è necessaria". Cosa vuol dire Gesù? Certamente non vuol condannare il lavoro di Marta, non vuol condannare l'impegno. Anzi Gesù è venuto per scuotere la pigrizia e per ricordarci che nella vita dobbiamo fare il più possibile, che dobbiamo far fruttare in pieno i talenti che abbiamo. Ciò che Gesù corregge in Marta è il suo lasciarsi travolgere dalle occupazioni, il suo affannarsi eccessivo, l'eccessiva importanza che dà alle cose esteriori e materiali e al proprio lavoro, fino a perdere il senso delle proporzioni e dei valori. Gesù condanna l'affanno, l'ansia, la preoccupazione; invita a non contare solo sulle nostre forze, ma soprattutto sulla potenza di Dio e della sua Parola. Gesù non pone un dilemma: o pregare o lavorare, ma vuole ricordare questo cosa: è efficiente non chi fa tanto, ma chi fa con Dio". (v. Comastri, Predicate la buona notizia, LDC). E chi fa con Dio fa molto di più, perché vive nella maniera giusta. Anche a noi dunque Gesù dice: "Ti preoccupi e ti agiti per troppe cose e trascuri l'unica veramente importante"! Come sono vere queste parole del Signore! Egli ha ragione: la nostra vita è un correre affannoso dietro a mille cose: sogni, progetti, affari, occupazioni; siamo delle «Marte affaccendate» che credono di fare le cose più importanti del mondo e invece perdiamo tempo, facciamo cose inutili, ci agitiamo per cose che sono soltanto urgenti per noi ma non importanti, per cose che spesso non accadranno mai. Gesù dice: "Non preoccupatevi di ciò che mangerete e di ciò che berrete, di ciò che vestirete... Preoccupatevi prima di tutto del regno di Dio". Pensiamo alle nostre famiglie: in esse veramente ci si preoccupa di tutto (mangiare, bere, vestire, aver soldi, divertirsi...). Ma c'è la preoccupazione di dare Dio, di costruire la vita con Dio, ascoltando il suo vangelo e seguendo i valori che esso ci porta? Gesù dice: "Io sono la vite e voi i tralci, come il tralcio non può dar frutto se non rimane unito alla vite, così voi rimanete uniti a me, perché senza di me non potete fare nulla". Ciascuno di noi può chiedersi: Quanto tempo do alla preghiera, all'incontro, all'ascolto, al dialogo con Dio nella mia giornata? Per la mia vita personale, per la famiglia, per il lavoro, per le mie preoccupazioni, devo ricordare quanto è detto nel Salmo: "Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori". Dall'episodio di Marta e Maria ricaviamo anche questo insegnamento: che il miglior modo di essere Marta è di essere Maria. L'ascolto attento della parola di Dio, il tenere l'occhio fisso su Gesù, l'abitudine alla preghiera e alla riflessione, se non proprio alla contemplazione, purifica l'azione, impedisce di ricercare se stessi anche quando si fa la carità ai fratelli; permette di scorgere e rispettare le priorità; fa fare tutto con calma che poi è il sistema migliore di fare bene le cose e di farne di più. Comprendiamo allora che la nostra vita deve essere attiva, che dobbiamo compiere i nostri doveri, che dobbiamo far fruttare al massimo i nostri talenti, ma nella fede, cioè secondo il progetto di Dio, secondo la luce della sua parola, nel desiderio di compiere la sua volontà, che vuole la vita e il bene di tutti. C'è una bella preghiera che dice così: "Aiutami o Signore a vivere le mie giornate con le mani generose di Marta e con il cuore pieno di amore di Maria". |