Omelia (29-07-2001) |
mons. Antonio Riboldi |
Padre nostro I nostri occhi e soprattutto il nostro cuore è ancora pieno delle immagini del G8 di Genova. Là si erano dati appuntamento due diversi modi di programmare la giustizia nel mondo. Da una parte vi erano quelle che erroneamente amano definirsi le grandi potenze del mondo. Ma dove si misura la potenza di una nazione? Da quello che ha e può disporre "senza alcun vincolo" con chi convive sullo stesso continente, o sulla estensione della nazione? Non sono forse "grandi nazioni" come la Cina, il Brasile ed altre? Di certo hanno voluto mettere in vetrina l'arroganza tipica del potere e della ricchezza, dimenticandosi del "guai a voi ricchi... è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco nel Regno dei cieli" Una arroganza ed un potere che è vera violenza alla ingiustizia delle tante povertà. Dall'altra vi era "la voce degli ultimi", che chiedevano con forza che al tavolo della globalizzazione non ci fossero soltanto alcuni, ma sedessero tutti a cominciare dai più poveri. E' una coscienza, questa, nuova, che si affaccia sul mondo e può determinare un diverso modo in avvenire di fare politica perché non ci sono e non ci devono essere sulla terra, che è di Dio e dove tutti hanno diritto alla stessa dignità, chi reciti la parte del ricco epulone, che ogni giorno banchettava lautamente, avendo ai piedi della sua tavola i cani e tra questi un povero, Lazzaro, coperto di piaghe che contendeva con i cani le briciole che cadevano dalla tavola del ricco. Come sia finito questo scontro di politica globale lo sappiamo tutti ed è come una ferita al cuore di ogni uomo, che ama davvero che tutti conosciamo la solidarietà, bene insuperabile della pace e della civiltà. In tanto frastuono, dove le voci si soffocavano a vicenda, fino a non capire neppure la ragione di quell'incontro, faceva impressione vedere e sapere che tanti, ma tanti credenti e non, affidavano le ragioni della loro speranza alla veglia di preghiera, al digiuno: un modo di implorare il Padre a essere presente ed illuminare tutti. "Ci vorrebbe una grande Pentecoste", fu detto. Molti certamente non avranno capito le ragioni di quelle preghiere e veglie, chiedendosi a che servono per un buon esito. Forse credevano di più nella violenza, che distrugge ogni possibile via di dialogo, di progresso e di civiltà. Eppure la preghiera bene intesa, è il legame affettivo che passa tra noi e il Padre. Sappiamo tutti, almeno quelli che ci credono, che un "papà" dal cuore grande come quello di Dio, ama dialogare con i figli: ama farsi pregare. Chi di noi, durante il giorno, forse senza accorgersene, non si rivolge a Dio, con il Padre nostro, la preghiera che Gesù ci ha messo sulle labbra? Dio, il Papà che ha tanto a cuore ognuno di noi, non si nasconde davanti alle nostre difficoltà. Il difficile è sapere come pregare. E' la domanda che rivolgono i discepoli al Maestro: "Insegnaci a pregare". Ed un esempio di come si prega ci viene da Abramo, che teme lo sterminio di Sodoma e Gomorra "il cui peccato è troppo grande e molto grave". Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse non ci sono 50 giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai 50 giusti che vi si trovano? "Lungi da te il far morire il giusto con l'empio: così che il giusto sia trattato come l'empio". Rispose il Signore: "Se a Sodoma troverò 50 giusti nell'ambito della città, per riguardo loro perdonerò a tutta la città". Abramo riprese e disse: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere... Forse ai 50 ne mancheranno 5; per questi 5 distruggerai la città?" Rispose: "Non la distruggerò se ve ne trovo 45". E la preghiera di Abramo continua al ribasso, forse convinto che a Sodoma c'era nessun giusto, ma vuole provare la bontà del Signore fino a dirGli: "Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno 10". Dio si ripete: "Non la distruggerò per riguardo a quei dieci". (Gn.18,20-32) E corrisponde esattamente a quello che Gesù dice ai suoi che gli chiedono come si prega e quale sia l'atteggiamento del Padre di fronte alla preghiera: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra di voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! (Lc.11,1-13). Pregare è un mettersi umilmente come un bambino, ai piedi del Padre e fidarsi del Suo amore. Lui sa cosa occorre a ciascuno di noi: quale è il nostro vero bene e quali sono invece le sciocchezze che a volte sono le nostre domande. Ogni volta ho il dono di recarmi in qualche pellegrinaggio, mi stupisce sempre la gran sete di preghiera che è nei pellegrini. Chi non ha in mente Lourdes, Fatima, la Terra Santa? E' in quella atmosfera di completo abbandono nelle braccia del Padre che si prova non solo la dolcezza del dialogo con Lui, ma la gioia di abbandonarsi ad un Cuore che veramente ha a cuore ciascuno di noi. Non posso non ricordare mia mamma, la cui giornata era una incessante preghiera. Non dimenticherò mai quelle labbra che si muovevano in continuità come in un dialogo dolcissimo con il Suo Signore. Giorno e notte, senza mai cessare. La sua preghiera, che vorrei tanto fosse la mia e la vostra, cari amici, era simile a quella stupenda del salmo 131: Signore, il mio cuore non si inorgoglisce: non è superbo il mio sguardo; non desidero cose grandi, superiori alle mie forze: io resto sereno e tranquillo. Come un bimbo in braccio a sua madre, quieto è il mio cuore. Israele confida nel Signore, ora e sempre. Una preghiera di fiducia che dedico ai giovani, che a Genova hanno pregato, e si sono fatti voci di chi non ha voce, ossia i poveri. |