Omelia (02-08-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Verso la terra promessa Dopo avere sfamato cinquemila uomini con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù si sposta con gli apostoli in un’altra località sulle rive del lago di Galilea, la cittadina di Cafarnao. La folla li segue, e Gesù sa bene il motivo tutti sperano che egli continui a sfamarli; perciò li invita a guardare oltre il fatto prodigioso, per cercarne il vero significato. "Voi mi cercate perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che io vi darò". Capiscono che a questo scopo egli richiede la fede in lui; ne avrebbero avuto motivo, dopo il clamoroso miracolo della moltiplicazione, e invece ne vogliono un altro: "Quale segno compi tu, perché lo vediamo e ti crediamo?" E citano ad esempio Mosè, cui attribuiscono il merito di avere sfamato per anni il popolo d’Israele nel deserto, procurandogli ogni giorno la manna. Alla folla non basta dunque l’essere stati sfamati in tanti con solo cinque pani e due pesci, e c’è da scommettere che a molti neppure altri miracoli sarebbero bastati. Par di sentire quanti, anche oggi, si dicono disposti a credere solo se vedono un miracolo. In realtà anche oggi, e non solo a Lourdes, avvengono fatti che la scienza non sa spiegare, accertati e documentati con uno scrupolo che a molti pare persino eccessivo; ma proprio chi pretende miracoli trova sempre pretesti per non riconoscerli. Gesù stesso l’ha ricordato, con la parabola (Vangelo secondo Luca 16,19-31) del povero Lazzaro, cui il ricco banchettante nega persino le briciole; quando il ricco dall’inferno chiede che Lazzaro torni in terra ad avvertire i suoi fratelli perché non finiscano anche loro dov’è lui, si sente rispondere: "I tuoi fratelli hanno per guida la Parola di Dio; se non credono a quella, non crederebbero neppure se uno risuscitasse dai morti". Neppure Gesù a Cafarnao compie un altro miracolo per quegli increduli che lo pretendono, come condizione per credere in lui. Invece li invita a riflettere: "Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo". E rivela: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!" Spiegherà più avanti – lo sentiremo le prossime domeniche – come egli possa essere il pane della vita: il pane che nell’Eucaristia si fa suo corpo; il pane in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde che, più o meno consapevolmente, albergano in ciascun uomo e che solo Dio può soddisfare. Di questo Pane divino, la manna del deserto era solo una prefigurazione, un preannuncio. Lo si comprende meglio, se si ricorda e si intende nel suo più profondo significato il contesto in cui quel dono si colloca, cioè la fase della storia ebraica denominata esodo. Il popolo d’Israele era oppresso in Egitto, quando Dio mandò Mosè a liberarlo; lo condusse fuori da quella terra di schiavitù, gli fece passare prodigiosamente il mare e lo nutrì per quarant’anni con la manna, sino a quando giunse nella terra promessa. Si può leggere in questa vicenda il "viaggio" che è la vita del cristiano. Egli nasce nella terra di quella schiavitù che è il peccato; Dio manda il suo Figlio a liberarlo: attraverso l’acqua del Battesimo, e nutrito per tutta la vita dall’Eucaristia, lo conduce alla vera terra promessa, la vita eterna. I fatti dell’esodo dunque, tangibili e materiali, aiutano a comprendere quelli, invisibili perché spirituali, che nella sua immensa bontà Dio compie per chiunque li voglia accogliere. |