Omelia (31-05-1998) |
mons. Antonio Riboldi |
Una brezza di speranza Credo che molti di noi domenica sono stati come 'rapiti', dalla visita o meglio dal pellegrinaggio che il Santo Padre, Giovanni Paolo II, ha voluto fare alla Sacra Sindone a Torino. Non è facile scordare quel volto sofferto, vivente del Papa, che sembrava accogliere nel suo cuore tutti i dolori del mondo ed era come un riflesso dell'UOMO DEI DOLORI che è impresso nella Sacra Sindone. Anche noi che lo seguivamo sia pure per televisione, non potevamo sottrarci a quel momento che ci riportava bene il dramma dell'amore consumato 2000 anni fa sul Calvario con Cristo Gesù che ha dato tutto di Sé, è il dramma del nostro tempo, che sembra un Calvario con dolore, forse con poco amore che ma vorremmo con tanta speranza. Appunto perché unito al Calvario di Cristo. E il S. Padre ha così sintetizzato i suoi sentimenti: "Nella Sindone si riflette l'immagine della sofferenza umana. Essa ricorda all'uomo moderno, spesso distratto dal benessere e dalle conquiste tecnologiche, il dramma di tanti fratelli e lo invita ad interrogarsi sul mistero del dolore per approfondirne le cause. L'impronta del Corpo martoriato di Cristo Crocifisso, testimoniando la tremenda capacità dell'uomo di procurare dolore e morte ai suoi fratelli si pone come immagine della sofferenza dell'innocente di tutti i tempi, delle innumerevoli tragedie che hanno segnato la storia passata e dei drammi che continuano a consumarsi nel mondo. Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati da tante guerre che insanguinano le Nazioni, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli? Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime delle torture e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali? Evocando tali drammatiche situazioni, la Sindone non solo ci spinge ad uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore, che santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità". E forse il S. Padre aveva davanti agli occhi del cuore quella privazione del diritto insopprimibile del lavoro, che crea disoccupazione ed umiliazione dell'uomo cui Dio ha consegnato la terra perché la coltivasse, ed ha consegnato il grande comandamento dell'amore: ossia che nessuno sia privato dei suoi diritti doveri, come il lavoro, ma tutti cooperino perché a ciascuno sia dato il suo. E' questione di vera giustizia. Quando si difende l'uomo, si deve difendere ogni suo diritto, compreso il lavoro, perché l'uomo sia veramente uomo nella sua pienezza. Come è dovere dare il pane all'affamato, e altrettanto dovere dare il lavoro al disoccupato. Sotto i nostri occhi ogni giorno oramai si recita il dramma della disoccupazione. Napoli è diventata "il palcoscenico del dolore dei senza lavoro": il palcoscenico di una ingiustizia che deve scuotere le coscienze e subito: con fatti concreti. Poco tempo fa, in occasione del disoccupato che si uccise dandosi le fiamme, qualcuno così mi scrisse: "Scusaci, disoccupato. Eravamo così presi dall'ascolto del rumore di fondo delle nostre voci che non ci siamo accorti che t'eri dato fuoco per urlare silenziosamente la tua protesta contro una società che non ti dava lavoro. Chi più, chi meno...noi giornalisti siamo sempre alle prese con le vicende personali di qualche principessa. Queste cose ci hanno purtroppo distratto dal denunciare le ragioni del tuo ultimo disperato grido. Noi politici stavamo lavorando intensamente a creare schemi concettuali nei quali relegare i problemi veri della società (vedi la Bicamerale). Inoltre eravamo così assorbiti dalla modalità della nostra entrata nell'EURO che non abbiamo capito (malgrado sapessimo dell'aumento delle famiglie senza mezzi di sussistenza) che la prolungata disoccupazione può ridurre le persone alla disperazione ed al gesto estremo. Noi cittadini contribuenti eravamo afflitti dalla preoccupazione (del resto risultata infondata) che il governo disturbasse le vecchie abitudini di evadere le imposte e di portare capitali all'estero. Così ancora una volta ci è sfuggita l'opportunita di utilizzare la nostra ricchezza in modo socialmente utile. Noi imprenditori abbiamo sbagliato a insistere per ottenere ulteriori sgravi da contratti di lavoro già sufficientemente flessibili, specie nel Mezzogiorno. Se avessimo avuto il coraggio di investire nelle aree dove manca il lavoro forse tu oggi saresti ancora vivo. Sappiamo bene che dovremmo accontentarci di fare il nostro guadagno attraverso il lavoro che tu fai alle nostre dipendenze. Ma il pensiero che, riducendoti alla fame, saresti stato costretto ad accettare un lavoro nero, (con conseguente aumento del nostro profitto) ci ha oscurato la mente. Ecco perché devi scusarci, caro disoccupato. Sappi però, se questo ti può dare sollievo, che non ti abbandoneremo mai e abbiamo deciso di portarti con noi in Europa a qualsiasi costo". Ma oggi, grande festa di Pentecoste, non mi resta che supplicare lo Spirito Santo così: "Tu, Spirito Santo, vieni a turbarci. Tu si l'altro che è in noi. Tu sei il soffio che anima e sempre scompare. Tu sei il fuoco che brucia per illuminare. Attraverso i secoli e le moltitudini, tu corri come un sorriso per fare impallidire le pretese degli uomini. Tu sei povero come l'Amore, per questo ami radunare per creare. Oh, brezza e tempesta di Dio, vieni!" |