Omelia (30-09-2007)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Nel messaggio della Parola di Dio di oggi riscontriamo un contrasto evidente fra la seconda lettura e il Vangelo. Nella brano della seconda lettura san Paolo si rivolge al suo fedele discepolo Timoteo, da lui messo a capo della comunità cristiana di Efeso, e lo chiama "uomo di Dio".
Invece il ricco del Vangelo non ha nome. Noi lo chiamiamo "epulone", ma è un epiteto spregiativo, che significa "festaiolo e buona forchetta". Solo il povero Lazzaro nella parabola viene interpellato direttamente con il suo nome, ma quando ormai è troppo tardi.
Dio aveva presente da sempre Lazzaro e la sua miseria, di lui però il ricco epulone si ricorda solo stando fra i tormenti della sua condanna.
Il ricco vede Abramo di lontano nella luce di Dio e Lazzaro accanto a lui, e si rivolge ad Abramo, suo padre nella fede, perché con l'autorità che gli è propria mandi il signor Lazzaro, che lo conosceva bene, a dargli un po' di conforto dall'arsura che lo bruciava.
Abramo gli toglie la speranza di un simile sollievo e allora il ricco lo implora perché almeno convinca Lazzaro a farsi vedere ai suoi fratelli ancora al mondo, che non ripetano i suoi tragici errori. Anche questo è vietato dalla sapienza di Dio, che ha già disposto per tutti mezzi sufficienti di salvezza, rispettando la libertà di ciascuno e senza bisogno di stravolgere l'ordine delle cose.
Bisogna fare del bene finché si è in tempo perché lo dice Dio e la coscienza, e non per la paura del castigo.
Tornado un attimo alla seconda lettura notiamo che san Paolo raccomanda al Vescovo Timoteo la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza e la mitezza; tutte qualità queste di cui alla fine della vita deve riconoscersi dolorosamente privo il ricco della parabola.
Certamente egli non aveva la carità, perché il povero Lazzaro era una presenza fissa fuori della sua porta, di lui non poteva non essersi accorto fra una festa e l'altra, eppure mai gli aveva dato ristoro. I due si spiavano a vicenda, il primo per sapere che voleva quel cencioso e se era ancora lì, il secondo cercando di approfittare di qualche avanzo che veniva buttato nella spazzatura. Più benevoli del ricco nei confronti di Lazzaro erano perfino i cani randagi che gli tenevano compagnia come potevano.
Dunque il ricco durante la sua esistenza vissuta "alla grande" non si era mai dimostrato misericordioso nei confronti del povero, ma dal proseguo della parabola veniamo a sapere che gli mancava anche la fede.
Anche lui al pari dei suoi fratelli conosceva Mosè e i profeti (uno di questi è Amos che abbiamo ascoltato nella prima lettura), eppure non se ne era mai interessato; i loro discorsi li giudicava noiosi e troppo severi: lui voleva fare come gli pare.
La fede è importante perché motiva la carità e trasforma la compassione in esigenza morale. Non si può vivere solo per se stessi, ma questa semplice verità acquista un valore tutto speciale quando a dircelo è Dio stesso, l'autore di ogni bene.
Com'è possibile riconoscere nel prossimo un fratello se non si trova mai il tempo e il modo di inginocchiarsi davanti a Dio riconoscendo in lui il Padre di tutti?
Se non si crede in colui che solo possiede l'immortalità, abita una luce inaccessibile e a cui nessuno fra gli uomini ha mai potuto avvicinarsi, viene meno ogni interpretazione spirituale dell'esistenza e ci si riduce alla soddisfazione immediata dei bisogni elementari o si scade nella ricerca dei piaceri più bassi.
Così fu per il ricco epulone in maniera che egli al termine della sua vita si ritrovò sprovvisto di meriti, senza aver coltivalto la pietà verso Dio e la giustizia nei confronti del prossimo, impaziente e arrogante.
Il povero Lazzaro invece di pazienza dovette esercitarne tanta; la sua carità fu quella di non arrivare mai ad odiare il ricco né a ricorrere alla violenza contro di Lui e dunque di rimanere mite. Ma chi gli dava la forza per sopportare tanti mali se non la fede in Dio e la devozione verso di Lui che avrebbe saputo fare giustizia meglio di ogni altra persona umana?
È proprio questo suo atteggiamento che lo rende partecipe del Regno dei cieli.
Rifiutando di cadere nei compromessi di questo mondo egli si sottrae dalla categoria degli sfortunati e basta ed entra invece nel numero dei perseguitati per causa della giustizia. In maniera misteriosa Gesù ci fa capire che chi è simile a Lazzaro nel suo abbandono alla Provvidenza attraverso un comportamento mite e remissivo dà una bella testimonianza di fronte ai potenti di questo mondo e diventa compartecipe del suo destino, Lui il primo perseguitato per la causa della giustizia.
Più che un commento alla prima beatitudine: "Beati i poveri", dobbiamo intendere la parabola di Gesù per quest'oggi come un commento al suo avvertimento: "Guai a voi, ricchi"; anzi, potremmo dire che si tratta di un esposizione, punto per punto, di tutti e tre i "Guai" pronunciati da Gesù in parallelo con le beatitudini, ossia: "Guai a voi ricchi... Guai a voi che ora siete sazi... Guai a voi che ora ridete..."
Se proprio vogliamo trovare un riferimento allo spirito delle beatitudini in questo Vangelo dobbiamo prendere in considerazione non la prima, ma l'ultima delle otto frasi di Gesù: "Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli".
Dice san Paolo apostolo scrivendo ai cristiani di Filippi: "A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui" e ancora rivolgendosi al discepolo Timoteo lo stesso san Paolo ne fa una legge generale: "Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo saranno perseguitati".
Certo l'essere beati non consiste direttamente nella persecuzione, che è sempre una concreta sofferenza, fisica e morale, ma nel fatto che questo patire è anticipo di una beatitudine eterna. Mentre il bene si compie nel silenzio, il male reagisce con violenza tumultuosa, ma Gesù ci assicura che non avrà l'ultima parola.
Un credente "soffre per causa della giustizia" quando in cambio della sua fedeltà a Dio sperimenta umiliazioni, viene oltraggiato, deriso nel proprio ambiente, incompreso perfino da parte delle persone a lui più care.
Accanto al martirio pubblico che si compie esternamente, davanti agli occhi di molti, esiste anche un martirio nascosto subito nel segreto dell'intimo del cuore.
A tutti quelli che non si rassegnano alla mediocrità e alla grettezza del mondo, ma sono disposti a mettersi in gioco per Lui e per il Vangelo Cristo ripete: "Rallegratevi ed esultate".
Come Lazzaro povero in terra, ma felice per sempre, anche noi fin da ora possiamo essere nella gioia perché siamo candidati a partecipare non soltanto ai patimenti di Cristo, ma anche alla sua resurrezione e alla sua gloria.