| Omelia (09-12-2007) |
| mons. Roberto Brunelli |
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Una voce grida nel deserto Nel perenne avvento di Dio tra gli uomini, reso manifesto dall'avvento del suo Figlio, il vangelo della scorsa domenica invitava a guardare al Figlio venturo, al Cristo con il quale ci incontreremo faccia a faccia. Anche per prepararci adeguatamente a quel giorno, questa e le prossime domeniche sono volte a meglio conoscere Colui che incontreremo, considerando la sua prima venuta, duemila anni fa. Essa è stata preceduta da una lunga serie di uomini e donne, cui Dio ha affidato il compito di prepararla; tra di loro, la liturgia dell'Avvento punta l'attenzione in particolare sul profeta Isaia, il quale ha delineato i tratti di Colui che doveva venire; su Maria, che l'ha generato (ne è stata una preparazione il suo concepimento senza peccato, celebrato ieri); e su Giovanni Battista, incaricato di presentarlo al mondo. Appunto la figura di Giovanni campeggia nel vangelo di oggi. Colpì allora e continua a colpire, quell'uomo austero che ha rinunciato ad ogni comodità (vive nel deserto, di quanto il deserto può offrire: "portava un vestito di peli di cammello; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico") e non va certo in cerca di consensi, se accoglie chi gli si avvicina chiamandoli "razza di vipere" e minacciandoli di castighi terribili, se non cambieranno vita: "Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco". Egli non cerca agi né applausi, anzi distoglie l'attenzione da sé per orientarla su un altro, neppure presente, al momento: "Colui che viene dopo di me è più grande di me, tanto che io non sono degno di portargli i sandali". La missione di Giovanni si compì di lì a poco, quando alla folla accorsa ad ascoltarlo egli poté indicare Gesù, "l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo", al quale rese poi la suprema testimonianza del martirio. A distanza di duemila anni, benché i vangeli ne descrivano l'aspetto e ne narrino la vita, di Giovanni si direbbe rimanga soltanto la parola, la voce possente che grida nel deserto: viene spontaneo confrontarla con le tante voci che gridano nell'affollato deserto della politica, dei giornali, dei talk-show televisivi, e sgomitano per farsi largo, cercare seguaci, mettersi in mostra, accentrare i riflettori su di sé. Chissà quali parole resteranno, di tanti demagoghi da strapazzo, di tanti divi effimeri la cui torbida luce non dura lo spazio d'un mattino. Ma in mezzo alle tante voci, pur se paiono talora prevalere, è importante riconoscere l'unica che conti, l'unica che non parli a proprio vantaggio, l'unica davvero mirante all'autentico bene degli uomini. "Colui che viene dopo di me è più grande di me": ecco, la sua è la voce che conta, quella ripetuta da duemila anni, letta nei vangeli, calata nella vita dei santi, attualizzata dagli interpreti autentici. Un esempio della sua attualizzazione è l'enciclica pubblicata nei giorni scorsi, come sempre impegnativa ma in questo caso impregnata di una carica confortante. Scrive il papa: "La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente. Il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino". |