Omelia (30-09-2007) |
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Commento Luca 16,19-31 Accogliamo, con la povertà di Lazzaro, la Parola del Signore: parola che dona vita, parola che salva. Sono due le scene che compongono il quadro del racconto evangelico di oggi (cf Lc 16,19-31). La prima scena riguarda la vita terrena dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (cf Lc 16, 19-21). La seconda scena, invece, ritrae il ricco e Lazzaro, dopo la morte (cf Lc 16, 22-31). Il ricco, in vita, ha ricevuto beni. Lazzaro, invece, ha ricevuto mali. La situazione si capovolge con la morte di entrambi. Lazzaro, infatti, è consolato, mentre l'uomo ricco è nei tormenti (cf Lc 16,25). Altri personaggi appaiono sullo sfondo del racconto. Sembrano personaggi non importanti. Sono i cinque fratelli dell'uomo ricco, rimasti in vita. I cinque fratelli del racconto siamo noi. Che cosa faranno quei cinque uomini? Seguiranno l'esempio del ricco epulone oppure faranno tesoro dell'insegnamento di Mosè e dei profeti? (cf Lc 16,29) Luca non dà una risposta. Davanti a loro, si aprono due strade: quella della condivisione dei beni, con chi è nel bisogno, e quella del tenere tutto per se stessi. Dinanzi a noi, si aprono le stesse due strade, ecco, perché dicevamo che quei cinque fratelli del racconto siamo noi, perché, anche noi, immersi nelle cose del mondo, a ogni istante, ci troviamo dinanzi alla possibilità di seguire il ricco epulone oppure l'insegnamento di Gesù; a ogni istante, noi, con i nostri beni terreni, possiamo costruire la nostra consolazione futura oppure i nostri tormenti futuri (cf Lc 16,25). Fratelli e sorelle, Lazzaro giace, ancora, alla nostra porta (cf Lc 16,20), mentre, noi, vestiti di porpora e di bisso, banchettiamo lautamente (cf Lc 16,19). Quanta fatica fanno i nostri occhi, per guardare Lazzaro! Quanta fatica fanno le nostre mani, per aprirsi in un gesto sincero di solidarietà verso Lazzaro! In un mondo, come il nostro, costruito, spesso, sulle mode e sulle apparenze, anche la solidarietà, talvolta, si incammina lungo le stesse strade, senza mai incontrare Lazzaro. Lazzaro giace sulla nostra porta, ma le mode ci fanno preferire la solidarietà a distanza, quella delle adozioni di bambini lontani, che, mai, incontreremo. Le mode ci fanno preferire la solidarietà che viaggia sulle onde di un sms, una solidarietà che, mai, ci renderà davvero prossimi, a chi è nel bisogno (cf Lc 10,25-37). Certo, solidarietà è anche questa: utile e preziosissima, ma Lazzaro e il suo sguardo ci interpellano dentro casa, mentre, noi non abbiamo il coraggio né la voglia di guardarlo. Apriamo i nostri occhi! Lazzaro è dentro la nostra famiglia, dentro il nostro posto di lavoro, dentro la nostra comunità parrocchiale. Portano il suo nome i nostri anziani, i nostri ammalati, i nostri bambini, che, con troppa facilità, noi adulti, affidiamo alle cure della televisione o dei videogiochi, dimenticando che i bambini hanno bisogno della tenerezza e del tempo dei grandi. Portano il nome di Lazzaro, i nostri famigliari e amici, i nostri colleghi di lavoro, i nostri vicini di Casa che vivono difficoltà economiche o drammi familiari, che noi ci limitiamo a compiangere senza, però, aiutare. Fratelli e sorelle, lasciamo i letti di avorio (cf Am 6,4), su cui giace, sonnacchiosa, la nostra pigra solidarietà. Svuotiamo le nostre coppe piene del vino (cf Am 6,6) di una solidarietà comoda, di una solidarietà di circostanza, perché siano riempite con una solidarietà che tenda alla giustizia, che sia piena di pietà, che nasca dalla fede, che inondi di carità, che sia ricca di pazienza e di mitezza, che cerchi di raggiungere la vita eterna (cf 1Tim 6,11-12). Le piaghe di Lazzaro - di tutti i Lazzaro della nostra società- sono quelle procurate dalla nostra indifferenza. Quando riusciremo ad aver pietà del Lazzaro piagato, che giace sulla nostra porta, incontreremo il Cristo. È Cristo, quel Lazzaro che giace sulla porta dell'uomo ricco. È Cristo, ogni Lazzaro che giace sulla nostra porta. Piaghe sul corpo di Lazzaro; piaghe sul corpo del Cristo, a dire che il Cristo è il vivente; che il Cristo è vivo tra noi, in una società ferita, tanto dall'indifferenza quanto dalla comoda e pigra solidarietà. Il Signore ridona la vista ai ciechi (Sal 145[146],8). Signore, ridona la vista a noi, cristiani ciechi della domenica, solidali sì, ma solo fino al punto da donare il superfluo e non la vita, quella che tu hai donato. Amen! Commento a cura di don Vito Martinelli |