Omelia (14-10-2007) |
don Giovanni Berti |
La terapia del grazie Clicca qui per la vignetta della settimana. In questi giorni sto lasciando la parrocchia dove ho speso due anni del mio ministero sacerdotale. Sono giorni nei quali la parola ricorrente delle persone che mi incontrano è "grazie". Sento che non sono ringraziamenti formali. Al contrario dietro le parole scorgo davvero un bel legame che in modi diversi e intensità diverse ho costruito in questo tempo, attraverso le varie attività svolte, le celebrazioni e anche il semplice incontro quotidiano. La parola "grazie" unita poi a una motivazione o un'altra ("grazie per questo...", "grazie di quella occasione che..." ecc.) è una parola che davvero mi risana. Lo dico perché cambiare parrocchia dopo solo due anni non è facile. Non è facile ed è faticoso perché non significa tanto non fare più delle attività e iniziarne delle altre in un altro posto, ma cambiare significa prima di tutto "tagliare" i legami e modificare in modo non semplice le proprie relazioni quotidiane. E ricevendo tanti "grazie", anch'io non posso che rispondere con altri personali "grazie" alle persone che devo lasciare. E mi sento più in pace... Il Vangelo di questa domenica insiste molto su questa dimensione del "grazie". Facciamo fatica a ringraziare, perché ringraziare significa riconoscere che abbiamo avuto bisogno dell'altro. E la tentazione forte di esser assolutamente autonomi è grande e ci condiziona. Non vorremo mai aver bisogno di dire grazie a nessuno. Abbiamo paura di riconoscere che siamo poveri in molte cose e senza l'altro non possiamo farcela. E nello stesso tempo la tentazione dell'egoismo ci porta inconsciamente a non voler che nessuno ci debba dire un giorno "grazie" perché significa che abbiamo dovuto aiutare e soccorrere chi era più povero di noi in qualcosa. Ovviamente non parlo dei "grazie" formali e delle piccole cose. Parlo delle esperienze forti della vita e di quando ci imbattiamo nelle difficoltà vere nostre e altrui che ci "obbligano" a soccorrerci reciprocamente. Dire "grazie" è anche riconoscere la libertà dell'altro dal quale non possiamo pretendere nulla. Il "grazie" che manifestiamo a voce e con i gesti risana realmente le nostre relazioni umane ammalate spesso di pretese e prepotenze e ammalate anche di isolamento e pretesa di autonomia assoluta. E anche con Dio siamo spesso così: pretendiamo da lui tutto oppure lo ignoriamo. Imparare a ringraziare Dio significa ritrovare il giusto rapporto tra noi e l'Altissimo, che con Gesù è diventato "bassissimo", vicino a noi fin a diventare bisognoso di noi. Clicca qui per lasciare un commento. |