Omelia (26-08-2007) |
don Marco Pratesi |
Popoli e lingue uniti Nel brano di Isaia troviamo due piani - Israele e i popoli - che tendono a sovrapporsi, e non è agevole - forse nemmeno possibile - distinguerli. Il profeta ci proietta nel tempo escatologico, tempo della realizzazione piena del progetto di Dio. Si tratta di un movimento inverso rispetto a quello di Babele/Babilonia (cf. Gen 11,1-9), nel quale l'infranta armonia delle lingue sarà ricomposta da Dio. Questo movimento universale è descritto da due verbi: venire, tutti i popoli verranno a Gerusalemme, riconducendovi come offerta a Dio gli Israeliti dispersi tra le nazioni; vedere, tutti i popoli vedranno la manifestazione gloriosa e "massiccia" di Dio. Questo moto avrà come catalizzatore un misterioso segno (di cui niente viene detto); si realizzerà attraverso l'invio dei superstiti delle nazioni, mandati ad annunziare la gloria del Signore; e riguarderà anche la dimensione cultuale. Il brano alza il velo sul grande progetto di Dio per l'umanità, progetto che abbiamo proclamato nel salmo responsoriale: "Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra". "Con i profeti e con lo stesso Apostolo [Paolo], la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce" (Nostra Aetate 4). Lo ripete il Vangelo odierno: "Verranno da oriente e da settentrione e siederanno a mensa nel regno di Dio". Israele non è per se stesso, la Chiesa non è per se stessa: tutto è a servizio del Regno di Dio. Quando il Concilio Vaticano II afferma che la Chiesa ne è "germe e inizio" (Lumen Gentium 5), esprime allo stesso tempo una stretta connessione e una non identificazione tra Chiesa e Regno. Il cammino verso la Gerusalemme nuova non è solo il cammino della Chiesa, ma pure quello di tutta la famiglia umana. Il Regno è già presente ogni volta che nel mondo il male è vinto e la fraternità vissuta. Come potrà poi concretamente realizzarsi questa armonia delle lingue umane non ci è dato saperlo. "Impossibile presso gli uomini, non presso Dio" (Mc 10,27). Per parte nostra siamo chiamati a liberarci da ogni pretesa di monopolio sulla salvezza e da ogni vanità ecclesiale, alle quali corrisponde poi inevitabilmente la creazione di una corrispondente classe, comunque la si voglia configurare, di esclusi, di nuovi "pubblicani e prostitute". Sappiamo bene che la Chiesa di Cristo non può essere una comunione che esclude. Soltanto chi si sente servo inutile e non riceve già al presente la propria ricompensa in termini mondani sarà esaltato. Notiamo bene: questo non comporta per nulla attenuare la centralità di Cristo e della sua regalità salvifica, al contrario: la Chiesa serve gli uomini proprio se, e nella misura in cui, è intimamente unita a Cristo suo Capo, unico Salvatore del mondo. I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |