Omelia (12-08-2007) |
don Remigio Menegatti |
Beato il popolo che appartiene al Signore (311) Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature La prima lettura (Sap 18, 3.6-9) è ricca di significati, e per questo anche non facile. Parte con un riferimento alla notte pasquale – "la notte della liberazione" – e al dono della colonna di fuoco e della nube, importanti doni di Dio rispettivamente per indicare il cammino nella notte, e proteggere dal caldo del giorno. Il credente è un pellegrino che cammina verso l'incontro pieno con Dio, incontro che si realizza anche nella vittoria su ciò che fa problema e tenta di allontanare l'uomo dal Signore. Il vangelo (Lc 12,32-48) riprende l'accenno alla pasqua della prima lettura: "siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese". Indica che anche il discepolo del Regno che Gesù testimonia e annuncia, è in cammino verso la piena comunione con il Salvatore. L'attesa si manifesta e concretizza nella fedeltà all'incarico: "servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli", oppure come "amministratore fedele e saggio" che diventa beato se il padrone, al suo ritorno lo "troverà al suo lavoro". Conoscere il dono di Dio è motivo di gioia come anche fonte di responsabilità: infatti "a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più". Salmo 32 Esultate, giusti, nel Signore: ai retti si addice la lode. Beata la nazione il cui Dio è il Signore, il popolo che si è scelto come erede. Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame. L'anima nostra attende il Signore, egli è nostro aiuto e nostro scudo. Signore, sia su di noi la tua grazia, perché in te speriamo. Il salmo si apre con l'invito rivolto ai giusti e ai retti di cuore per lodare il Signore. Primo motivo della lode è la coscienza di essere un popolo speciale, fortunato perché scelto dall'unico vero Dio, colui che si prende cura del suo popolo. Possiamo scorgervi una sottile allusione agli idoli a cui si legano gli altri popoli: idoli che non sono Dio, ma opera della mani dell'uomo, e non operano per la salvezza delle persone che li invocano dopo averli costruiti. Viene ripresa e come illustrata la fedeltà di Dio attraverso i gesti concreti con cui il Signore "veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia". Gesti, come l'Esodo a cui si fa riferimento nella prima lettura, e i momenti in cui Dio libera dalla morte e nutre in tempo di fame quanti ha scelto come suo popolo. Viene quindi riconfermata la professione di fede: "l'anima nostra attende il Signore, egli è nostro aiuto e nostro scudo (...) in te noi speriamo". Infine la professione di fede si intreccia con l'invocazione: "sia su di noi la tua grazia". Un commento per ragazzi Ci sono delle occasioni in cui abbiamo chiaro il desiderio di collaborare, e siamo felici se i grandi – genitori o altri – ci considerano all'altezza del compito richiesto. Si tratta di piccoli impegni chiesti al bambino in casa, oppure quando l'animatore ci affida una responsabilità nel gruppo. Ciò avviene in maniera organizzata e precisa soprattutto nell'attività scout, dove anche i ragazzi hanno delle responsabilità dirette e stabili sui loro compagni più piccoli. Siamo contenti perché verifichiamo che i grandi sanno riconoscere e valorizzare le nostre caratteristiche e doti. La comunità cristiana dei primi tempi attende il ritorno del Signore come un fatto quasi immediato; si aspetta questo evento da un giorno all'altro. Tutto ciò stimola l'entusiasmo e la vivacità nelle relazioni. Col passare del tempo si comincia a dubitare che il ritorno del Signore sia così prossimo, e di conseguenza cala anche l'attesa generosa degli inizi. La comunità comincia ad "assopirsi", come chi si lascia vincere dalla stanchezza e nella notte prende sonno, dimenticando il motivo iniziale del vegliare in attesa. E come succedeva spesso da bambini, quando siamo stanchi e ci stiamo addormentando, cerchiamo qualcosa che ci rassicuri; è il ruolo dell'orsacchiotto o di altri peluche. Nella comunità cristiana si tratta del potere o del denaro: cose in sé utili, ma con la capacità di distogliere dal vero obiettivo. Invece di attendere il Signore, il Cristo Risorto, ci si sottomette al dominio di un altro "signore" qaule il possedere, il comandare. Invece di vivere la responsabilità come servizio – non dimentichiamo l'esempio iniziale del ragazzo che assume dei compiti a favore del gruppo – ci si trasforma in persone autoritarie, che vogliono "spadroneggiare", solo per comandare sugli altri. Il Signore mette in guardia i suoi discepoli da questo rischio di attaccarsi alle cose umane – in sé anche positive – perché si è dimenticato il motivo di fondo della presenza comunità cristiana: essere discepoli del Signore, l'unico a cui riconoscere il potere vero. Invece del Regno di Dio, si comincia a cercare un piccolo dominio umano, dove poter farla da padroni ed emergere con le proprie potenzialità. La comunità non è più il gruppo di "schiavi liberati e in cammino verso la terra promessa", solidali tra loro e fedeli alla "colonna di fuoco" e alla "nube" che li guida, ovvero il Signore. Diventa invece un gruppo di nuovi prigionieri del loro stesso potere, dove ognuno cerca di prevalere sugli altri. Un gruppo che dimentica la meta e il motivo per cui si sono radunati e messi in cammino; in tal modo vanno alla deriva, perdendosi nel deserto che si sono creati da soli. Riprendendo l'esempio iniziale: l'attività di gruppo diventa impossibile perché alcuni vogliono fare da padroni su tutti gli altri. Gesù si rivolge ai suoi e li chiama "piccolo gregge" per ricordare che è solo lui il pastore che li guida; è lui che dona la sua vita per loro e la sua autorità consiste nel servire e dare la sua vita (cfr Gv 10, 1-15). Nella cena pasquale afferma che è il Maestro e il Signore proprio quando si chiana a lavare loro i piedi (cfr Gv 13, 13-14). Inoltre ricorda che come ha fatto lui, così sono chiamati a vivere anche coloro che vogliono essere di fatto – non solo di nome – suoi discepoli (cfr Gv 13, 14-17). Cosa può significare vigilanza per dei ragazzi? Quale ruolo possono avere, senza aspettare di diventare grandi, bensì già adesso? È possibile affidare loro dei compiti nella comunità? A queste e altre simili domande troviamo le risposte se guardiamo le comunità che fanno spazio ai ragazzi, come alle famiglie in cui il dialogo sereno e il confronto aperto aiuta a valorizzare la presenza dei ragazzi come un dono prezioso. È il vostro entusiasmo, la vivacità che vi è connaturale se non vi lasciate bloccare dal "ma non c'è nessuno!" – che poi significa "non ci sono gli amici che intendo io, quelli che fanno tendenza" – e in tal modo rifiutate iniziative e proposte che possono aprire orizzonti nuovi ai vostri gruppi o associazioni, e comunque alle parrocchie. Se non avete paura di scelte controcorrente, proprio in queste emergono le vostre qualità e l'unicità, senza lasciarsi massificare dal modello standard di ragazzo. Un suggerimento per la preghiera Grazie o Dio per la tua chiamata alla libertà. Per non sprecare questo grande dono ti chiediamo: "Arda nei nostri cuori, o Padre, la stessa fede che spinse Abramo a vivere sulla terra come pellegrino, e non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell'attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna." Lo chiediamo insieme con l'unico Signore: Gesù Cristo, il tuo Figlio e nostro grande liberatore. |