Omelia (12-08-2007)
don Marco Pratesi
Pellegrini nella dispersione

La prima lettura è parte della vasta rilettura dell'uscita dall'Egitto che leggiamo nel Libro della Sapienza ai cc. 10-19. Com'è abituale nella Bibbia, l'autore ripercorre i fatti di ieri con l'occhio all'oggi, cercando e trovando in essi luce per il presente. Egli si rivolge alla comunità ebraica in diaspora, in particolare ad Alessandria d'Egitto, intendendo da un lato accogliere molti stimoli che gli vengono dalla cultura ellenistica (di cui c'è ampia traccia nel libro); dall'altro rafforzare il senso di identità e di appartenenza degli ebrei in diaspora.
Rievocando in tono lirico l'uscita dall'Egitto, la lettura ci presenta alcune peculiarità del "popolo che appartiene al Signore" (salmo responsoriale).
È un popolo che, come il suo padre Abramo, è in cammino, e cammino sconosciuto. Popolo straniero e pellegrino, il suo cammino è ignoto ma non affidato al caso, rischiarato e guidato com'è da un sole che non brucia e non fiacca: la colonna di fuoco, che rappresenta la torah, la legge, la Parola di Dio. Un popolo al quale i padri hanno lasciato la luce della profezia, e posto sulle labbra i loro antichi canti pasquali (qui specificamente l'hallel, Sal 112-117, e più in generale tutto il Salterio).
Un popolo che accoglie e sperimenta nella storia l'intervento di Dio, che è sempre anche giudizio, cioè salvezza per gli uni e rovina per gli altri; e nel contempo appello, ulteriore chiamata a camminare verso Dio. Un popolo che, nello scatenarsi di questo giudizio, è protetto dalla devastazione del male grazie al sacrificio dell'agnello pasquale.
Un popolo che forma un organismo unico, dove beni e mali sono condivisi.
Questo è l'Israele di Dio che l'autore propone agli ebrei dispersi tra i pagani; ma questa è anche la Chiesa, che vive forestiera e pellegrina, disseminata nelle città degli uomini (cf. 1Pt 1,1) in cammino verso un'altra patria (cf. Fil 3,20; Eb 11,13), nel mondo senza appartenere al mondo (cf. Gv 17,14-16). La tradizione monastica orientale parla a tale proposito della xenitìa, la virtù che è il "vivere come stranieri".
Di questo cammino verso l'ignoto è guida e luce colui che ha detto: "Io sono la luce del mondo, chi mi segue non cammina al buio" (Gv 8,12), Parola fatta carne; e il suo Spirito, che annunzia il piano di Dio nella storia e ne dispiega via via il senso, particolarmente attraverso la Parola dei due Testamenti, nella quale tutto è già detto, ma la cui comprensione cresce insieme alla Chiesa (cf. Dei Verbum 8).
In questo esodo nasce un popolo asperso e salvato dal sangue dell'agnello (cf. Eb 12,24; 1Pt 1,2), il quale tutti i giorni con Maria canta l'attuarsi del giudizio di Dio che disperde i superbi ed esalta i poveri (cf. Lc 1,51-52), e che da questo Magnificat è chiamato sempre di nuovo a convertirsi alle vie di Dio.
In questo esodo si forgia un popolo che, nato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito, è chiamato a formare un cuor solo e un'anima sola avendo tutto in comune (cf. At 4,32).
Così, nella custodia fedele di questi doni impegnativi che in modo definitivo ne specificano l'identità, la Chiesa potrà essere sale della terra, senza diluirsi e dileguarsi nella dispersione del mondo.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.