Omelia (12-08-2007) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Liberi per vivere l'amore di Dio Aspirare oltre misura ai beni materiali e lasciarsi avvincere dal morbo della cupidigia e della vanità comporta inevitabilmente il divnire schiavi degli stessi ogetti che si dovrebbero dominare e sfruttare allo stesso scopo strumentale e di conseguenza anche autocondannarsi ad una vita caduca, banale e assillante nelle angosce e nelle perdizioni della propsria instabilità personale. Le ambizioni al guadagno e agli alti livelli di potere e di ricchezza e l'accumulo dei beni non può che condurre infatti allo stato deplorevole di smarrimento personale e alle felicità illusorie poiché chi più raccoglie più resta insoddisfatto e tende ad accumulare ulteriormente. Saper dominare i beni materiali quali semplici mezzi per una vita dignitosa e all'insegna del giusto, equilibrato, decoro, vuol dire invece essere padroni anche del mondo poiché nell'animo ci si sente liberi e sollevati dalla vana ambizione e dalla bramosia del possesso e della voluttà. Ci si sente liberi, e per ciò stesso anche si usufruisce della libertà di prodigarsi per gli atri. E anzi, una delle chiavi di volta che possono esserci di ausilio nella lotta contro la schiavitù e la vacuità del possesso consiste proprio nell'esercizio della carità operosa e nella generosità attenta ed effettiva, poiché nella misura in cui si dona con gioia si riscontra il reale valore delle ricchezze materiali e ci si rende conto della loro reale utilità, restando allo stesso tempo liberi dalle sevizie perniciose della cupidigia. Non per niente Gesù rivolge l'invito alla carità nelle opere di bene solo dopo aver spronato i discepoli alla fuga dai vizi e dalle bramosie senza stancarsi di essere di sprone alla rinuncia al possesso per la supremazia dello spirito; in altre parole Egli ci esorta a rifuggire le ricchezze per essere liberi dai vincoli della cupidigia e creare così in noi stessi ricchezze umane e spirituali in grado di favorire appieno la nostra realizzazione nel mondo e prodigarci all'amore verso gli altri. Tutto questo costituisce il vero tesoro, quello inviolabile e non soggetto a consumazione alcuna: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina, fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli dove i ladri non arrivano..."; e in questa dimensione rientra la realtà del Regno Di Dio, che appunto Gesù ha attestato agli uomini come gratuito dono del Padre attraverso concreti gesti di amore verso i poveri, i sofferenti, gli umili e che noi tutti siamo invitati a vivere e riscoprire nella stessa logica dell'apertura spontanea all'amore gratuito verso i fratelli, alla carità effettiva e alle opere buone che lo realizzano. Il Regno di Dio è una realtà già presente e operante nella storia dall'evento dell'incarnazione dello stesso Dio nel suo Verbo GesùCristo che ne ha svelato i misteri attraverso le opere di amore e di misericordia che rendono testimoninanza del Padre; Esso avrà il suo completamento definitvo alla fine dei tempi, quando il Giudice tornerà per rendere a ciascuno secondo i suoi meriti, ma nel vivere la stessa dimensione dell'amore nelle conctrete aperture verso il prossimo se ne riscontra l'effettiva verità ed autentiticità pervenendo alla comunione e alla familiarità con Dio Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo. In altre parole si vive il Regno di Dio con le opere di amore concreto e reale che ci fanno assaporare la stessa vita di Dio. Chi si prodiga con gioia e abnegazione nei confronti dei fratelli infatti non solamente realizza indubitabilmente la volontà di Dio, ma poiché Dio stesso è amore si collocherà anche nella stessa dimensione che Dio vive in se stesso, quella dell'amore eterno e indefinito e sempre nell'amore sarà propenso a guardare i fratelli, intendendo questo amore semplicemente nella concretezza dei gesti di bontà, anche quelli più semplici per poi giungere a quelli di grande portata. Si può vivere l'amore al prossimo donando un intero capitale come pure donando un solo bicchiere d'acqua o un pezzo di pane, purché in ogni caso ci sia l'amore. Il fervore dell'amore richiede tuttavia che non ci si lasci sviare ma ci si mantenga sempre desti e pronti nella dinamica del Regno esercitando quella virtù che Gesù definisce perentoriamente VIGILANZA e che costituisce un atteggiamento irrinunciabile del cristiano nel suo vivere quotidiano: "Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese": la "cintura ai fianchi"- accanto al bastone in mano e ai sandali ai piedi- era indossata anche dagli Israeliti che consumavano l'agnello per la Pasqua secondo le disposizioni di Mosè, (ai fini di essere pronti a scappare dall'Egitto) e attesta quindi alla prontezza di riflessi e per estensione alla solerzia operativa nello svolgere qualsiasi lavoro; quella del vigilare allora non è in definiva un'attitudine di mera passività ma di operosa laboriosità nel vivere l'amore fra di noi e verso gli altri. Il premio dell'essere stati vigili, desti e solerti nell'amore comporterà il dono da parte del Signore che non solamente elogerà i suoi fedeli esaltando le loro disposizioni ed encomiando i loro preziosi frutti, ma... "Si cingerà le vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli." Rendendosi così perfino schiavo dei suoi servi e dei suoi fedeli... E nei restanti paragoni fra padrone - servo - servi la pedagogia evangelica non omette di sottolineare che non è nella logica della paura del padrone o del timore di una sua probabile punizione che noi si debba vivere la dimensione del Regno nell'amore, ma nella semplice convinzione che la vera utilità e il vero progredire di noi stessi e degli altri si rende effettivo solo nel servizio. Dare è più conveniente che ricevere. Poiché ci libera da ogni voncolo in vista dell'amore. |