Omelia (08-07-2007) |
padre Antonio Rungi |
Come agnelli in mezzo ai lupi per portare Cristo La Parola di Dio di questa XIV domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico ci fa riflettere nuovamente sul tema della missione e dell'evangelizzazione. La scelta di altri 72 missionari per evangelizzare la Palestina al tempo di Gesù ci fa capire che, allora come oggi, c'è bisogno di persone disponibili, capaci di sacrificio, preparate a qualsiasi rischio di fallimento, ma anche positivamente predisposte ad incassare il successo. Certo il tutto in un'ottica di fede e di quella che è la missione fondamentale della Chiesa di portare la salvezza e la salute a tutti gli uomini della terra. Il testo del Vangelo di Luca ci aiuta a capire meglio il senso di tale missione soprattutto nel contesto della cultura di oggi. Una missione che è prima di tutto testimonianza e poi annuncio. La crisi delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa ci dice quanto sia oggi difficile accogliere l'invito e le speciali vocazioni al servizio missionario. La messe oggi è davvero grande e gli operai stanno diventando sempre di meno e per lo più non sempre all'altezza del compito, quando la fragilità umana prende il sopravvento rispetto alla stessa grazia sacramentale. San Paolo Apostolo fa dell'annuncio del Crocifisso il suo impegno missionario fondamentale. Tutto il suo santo orgoglio sta nell'annunciare Cristo Crocifisso e vive esclusivamente per lui. Nel breve brano della lettera ai Galati che ascoltiamo oggi la sua attenzione si focalizza sul Calvario, sulla Croce e sul Redentore. Davanti al Crocifisso si superano le divisioni, le diatribe ed ogni ragionamento umano, che non porta la felicità, né genera il bene nell'umana società. Immedesimarsi nel mistero della Croce è farsi carico della salvezza dei fratelli e di conseguenza dell'urgenza missionaria che passa attraverso la contemplazione del Crocifisso. La prospettiva estremamente positiva che il profeta Isaia nella prima lettura di oggi ci fa vedere e toccare quasi per mano per l'Antico Israele è una certezza per il nuovo popolo di Dio, quel popolo sgorgato dal costato squarciato di Cristo. L'immagine di una Gerusalemme quale città di pace e di serenità è la stessa immagine che vorremo dipingere delle nostre città, troppo spesso insanguinate con le mani degli uomini del sangue di fratelli uccisi per odio o comunque per mancanza d'amore. Fosse anche per noi gente del XXI secolo questo l'augurio che per Gerusalemme faceva il grande profeta. Migliore prospettiva per questa umanità non è ipotizzabile. Un sogno che può diventare realtà, in quanto buona parte perché lo diventi spetta anche a noi cristiani, a noi che il Signore ha chiamato per assegnarci un compito particolare quello della missione sul territorio, ma anche la missione ad gentes. Come i 72 discepoli, bisogna partire e non restare oziosi a lamentarsi delle cose che non vanno. Bisogna partire senza possedere nulla con la forza della gioia che viene da Dio con il coraggio della speranza, con l'amore che motiva ogni nostra azione, con la povertà dei mezzi e delle strutture, perché non sono queste a rendere efficace la parola di Dio e la nostra testimonianza di lui al mondo intero. E' la parola della Croce che salva il mondo e questo nostro mondo. E parola della Croce è sinonimo in modo particolarmente aderente della parola Amore. |