Omelia (02-10-2022)
padre Antonio Rungi
Aumenta, Signore, la nostra fede, noi che siamo servi inutili ed infedeli

Il Vangelo di questa XXVII domenica del tempo ordinario ci presenta una richiesta precisa a Gesù da parte degli apostoli. Si rivolgono a Lui con queste semplici, ma toccanti parole, che dimostrano la sensibilità, la presa di coscienza della loro poca fede e gli chiedono il modo per farla crescere. Signore, dicono: «Accresci in noi la fede!».

Perché questa richiesta? Perché questo desiderio profondo del loro cuore di discepoli di questo singolare maestro?

Come risposta a questa domanda Gesù dice «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe.

Il prendere atto della fragilità della fede degli apostoli stimola Gesù a raccontare una parabola, quella del padrone e del servo: "Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?

Da una domanda di fede si passa a varie domande sulla carità, sul servizio, sull'umiltà che Gesù rivolge ai suoi discepoli.

A questi interrogativi nessuno di loro risponde, nessun si fa avanti per dire a Gesù, lo farò io, mi impegnerò a farlo se dovessi avere questo ruolo.

Invece tutto tace e a questi interrogativi non ci sono risposte al punto tale che Gesù conclude il suo dire con il rammentare il nostro inutile fare, inutile considerarsi, inutile pensare di essere insostituibili ed indispensabili.

Egli afferma una verità sacrosanta che tutti noi cristiani abbiamo sperimentato tantissime volte nella nostra vita in qualsiasi cosa che abbiamo fatto per gli altri: "quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"».

Riconoscersi servi inutili è il primo passo verso la crescita nella fede. L'umiltà è la virtù che fa aumentare la fede e la carità in termini esponenziali, L'orgoglio e la presunzione fanno arenare la fede e l'amore verso Dio e verso il prossimo. Non fanno crescere la persona nella direzione giusta, nella logica del vangelo.

Chi invece si abbandona completamente nelle mani di Dio e poco confida sulle proprie energie e capacità realizza un progresso spirituale senza pari.

Anche le nostre false concezioni di essere indispensabili in ruoli ed uffici di qualsiasi genere devono essere smontate dal nostro modo di pensare, ben sapendo che tutti siamo utili, quando serviamo, ma nessuno è perennemente indispensabile. Eppure ci sono soggetti e persone che pensano di esserlo e fanno in modo di continuare ad esserlo, giostrano e manipolando le situazioni a loro vantaggio e a loro esaltazione.

La vita e la storia di chi ci ha preceduto nell'eternità ci insegna che è ben altra la via che dobbiamo seguire. Non dobbiamo montarci la testa, ma semplicemente fare quello ci spetta fare con responsabilità, serietà, onestà, zelo e con quello spirito evangelico che ci aiuta a crescere e a maturale umanamente e cristianamente, senza attendersi lodi o ricompense.

Dio ha bisogno di uomini e donne umili e capaci che sappiano svolgere un ministero nella Chiesa, ma reputa inutili quelli che si sentono indispensabili. Ciò che conta è l'azione al servizio di Dio e della comunità. E per ogni persona che ha un ministero all'interno della comunità il modello da seguire è il servizio di Cristo.

Non si può stare al servizio del Vangelo con lo spirito del salariato: tanto lavoro e tanta paga. Non siamo legati a Dio da un contratto di lavoro, per cui ogni nostra azione è una prestazione che pretende un corrispettivo, che può essere non solo economico, ma di gratificazione, di potere, di carriera o di grazie e favori celesti da ottenere, perché privilegiati rispetto ad altri.

San Paolo apostolo ricorda ai cristiani di Corinto, quale è dunque la sua vera ricompensa davanti a Dio e al mondo: quella di predicare gratuitamente il Vangelo senza usare del diritto conferito a lui dal vangelo.

In conclusione, Gesù con questa parabola rivela il volto di Dio come colui che è venuto non per essere servito ma per servire: la sua vita è paragonabile al cameriere che sta in piedi e serve, non al padrone che siede a tavola (Lc. 22,27) per farsi servire dagli altri.

Sii tratta, dunque, di mettersi al servizio del prossimo nell'amore e nella carità, come Cristo ci ha insegnato, ben sapendo di non essere indispensabili, insostituibili in ruoli ed uffici, anche di carattere religioso ed ecclesiali. Farsi da parte e non pretendere di stare sempre al centro o al vertice delle istituzioni non solo è segno di vera umiltà, ma anche di consapevolezza che il tempo passa per tutti e bisogna fare spazio a chi di tempo ne ha di più davanti a sé per impegnarsi fattivamente per la diffusione del Regno di Dio in mezzo agli uomini. Staticità, immobilismo, assuefazioni, abitudini e tradizioni non fanno certamente crescere in novità, rigenerazione e rivitalizzazione le istituzioni di ogni ordine e grado nella Chiesa e nella società.