Omelia (27-11-2005)
Comunità Missionaria Villaregia (giovani)
Non si puo' aspettare con le mani in mano

Con questa domenica inizia il ciclo B che coincide con la prima domenica di Avvento e dal Vangelo ci giunge, quella solenne e austera parola che riempie di sé tutto l'Avvento: Vigilate! E' una parola che fa dei discepoli altrettante sentinelle; meglio - come si esprime Gesù - altrettanti portieri.
Questa parabola del portiere, fatta di pochissime parole, è una parabola tra le più moderne del Vangelo; più attuale oggi, forse, che al tempo di Gesù (pochissimi palazzi avevano allora il portiere e i suoi compiti erano assai più facili di oggi!). La vita del portiere in un moderno stabile di città è davvero una parabola vivente per il cristiano. Mai allontanarsi senza avere un sostituto, chiudere le porte, vegliare su chi va e chi viene, stare all'erta dai ladri; in breve, vigilare sempre. La sua è una vita di attesa o, meglio, di attenzione. Attenzione (da ad-tendere, cioè tendere a, o verso qualcosa) è la parola che racchiude il senso di tutte le metafore usate da Gesù nel contesto di questi discorsi escatologici: state attenti e vigilate! Si tratta di una attenzione non solo della mente, ma anche del cuore e di tutta la vita; vivere protesi verso qualcosa, pronti a cogliere tutti i segni che ne annunciano la presenza di Gesù.
La Parola vigilare-vegliare viene ripetuta in pochi versetti per ben 5 volte. Ma come deve essere questa vigilanza? La vigilanza deve essere attiva: Non si può stare con le mani in mano! Bisogna evitare di cadere nelle ricorrenti tentazioni tipiche di chi attende.
La prima tentazione, di chi attende a lungo, è proprio quella della noia e della stanchezza che uccidono la vigilanza dello spirito! "Bisogna stare svegli e saper scrutare la notte". In questo brano, in cui risuona con insistenza: "State attenti", si raccomanda per ben tre volte di non dormire. Invito alla fine rivolto a tutti: "State svegli!". Bisogna stare svegli perché non si sa quando il Signore torni dal suo viaggio.
Forse Marco intende dire che Gesù torna in ogni momento a chiederci conto della nostra fedeltà: alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino, allo stesso modo in cui per i suoi discepoli è venuto a chiedere conto della loro fedeltà alla sera in cui fu tradito (14,7), a mezzanotte quando fu giudicato (14,53-64), al canto del gallo, quando Pietro lo rinnegò (14,72), al mattino in cui fu condannato (15,1-15). Questi accostamenti non sono casuali: il Signore proprio nella passione viene con la sua gloria, compie la salvezza.
Il presente brano ci dice che non si può vegliare restando con le mani in mano, come se non ci fosse nulla da fare. Per questo la vigilanza attenta viene posta in stretta connessione con la responsabilità fedele e operosa. Non si può restare oziosi (vedi la parabola dei talenti e del giudizio finale delle scorse settimane). All'opposto di questa vigilanza, ci sono due cose: o la disperazione di chi non si aspetta più nulla dal futuro, di chi ha smesso di sperare (e di credere) e vive perciò alla giornata, di rassegnazione o di rabbia; o l'accidia e il sonno spirituale di chi spera ancora, ma non fa nulla per tendere all'oggetto della sua speranza; di chi presume - come si diceva una volta - di salvarsi senza merito. In entrambi i casi, il risultato è un'esistenza grigia e piatta, senza tensione spirituale, senza più sussulti di fede, di pentimento o di carità.
Il tempo dell'attesa vigile diventa allora il tempo dell'azione, diventa "storia concreta" che l'uomo deve ormai gestire in prima persona, in totale responsabilità e fedeltà alla parola che il Signore ci ha lasciato.
Questo tempo presente non è quindi una sala d'attesa, dove non c'è altro da fare che attendere passivamente e scrutare ansiosamente il tabellone degli orari e i binari ancora vuoti in una giornata di scioperi. Il tempo presente, con le sue difficoltà e le sue lotte, è già il treno che ci porta al Signore Gesù. Il binario giusto dove attendere è quello dell'operosità fattiva e fedele alla parola di Gesù. La sua Parola, il suo comandamento, è chiaro: si riassume nel precetto della carità, cioè dell'amore disinteressato, del servizio concreto ai fratelli, del porsi ultimo e schiavo di tutti, come lui ha fatto. La responsabilità è grande, alle deboli mani dell'uomo è affidato l'esito positivo della storia umana.

Un'adolescente scriveva i suoi propositi chino sul tavolo, mentre la mamma stirava la biancheria. "Se vedessi qualcuno in procinto di annegare", scriveva l'adolescente "mi butterei subito in acqua per soccorrerlo. Se si incendia la casa salverei i bambini. Durante un terremoto non avrei certo paura a buttarmi tra le macerie pericolanti per salvare qualcuno. Poi dedicherei la mia vita per aiutare tutti i poveri del mondo..." La mamma: "Per piacere, vammi a prendere un po' di pane qui sotto". "Mamma, ma non vedi che piove?"
Quanti vorrei riempiono la nostra vita...
Un giovane scriveva: "Siamo noi gli uomini del futuro, tocca a noi migliorare la situazione. La cosa più grave è star lì a far niente, a guardare questo povero mondo che si sbriciola. Noi diciamo viva la pace e facciamo la guerra, abbasso la droga e ne aumentiamo il commercio, basta con il terrorismo e uccidiamo i giusti. Però non è detto che a ciò non si possa mettere fine. Io volevo dire questo: se sei triste per l'odio nel mondo, non piangere e non perdere la speranza, ma fa' qualcosa, anche di piccolo".


Ti lasciamo un impegno per iniziare bene l'Avvento: "Fa' qualcosa, anche di piccolo... Non restare con le mani in mano!"

Auguri e buona settimana.