Omelia (27-11-2005)
mons. Ilvo Corniglia
Commento Marco 13,33-37

L' "anno della Chiesa", che non coincide con quello civile, terminava la scorsa domenica, con l'invito a concentrare la nostra attenzione su Gesù "Re dell'universo". A Lui la comunità cristiana sa di appartenere e a Lui guarda con l'affetto tenero di una sposa.
Ancora a Lui essa rivolge interamente la sua attenzione d'amore all'inizio del nuovo anno liturgico, che si apre con una stagione, chiamata significativamente "Avvento" (=Venuta). Ciò per indicare che il cammino della Chiesa e del singolo credente è tutto proteso verso un traguardo futuro: la venuta del Signore Gesù. Essa inaugurerà la festa senza fine del Regno di Dio, colmando ogni aspirazione e desiderio dell'uomo. Noi cristiani viviamo "nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo". Venuta ultima e gloriosa, che suppone la prima venuta di Cristo "nell'umiltà della nostra natura umana" (prefazio della Messa), quando "portando se stesso portò ogni novità" (sant'Ireneo).
Questa prima venuta la Chiesa si prepara a celebrarla nel prossimo Natale, rivivendo la lunga attesa del Salvatore da parte dei fedeli di Israele e anche- sia pure a livello inconscio - da parte di tutta l'umanità. Un'attesa che si prolunga oggi con dimensioni molto vaste. Ogni ricerca, ogni bisogno anche inespresso di liberazione e di salvezza i cristiani lo condividono con ogni uomo, consapevoli che in definitiva è ricerca e bisogno di Cristo. Consapevoli che Lui "è il compimento dell'anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso, ne è l'unico e definitivo approdo" (TMA 6).
La supplica accorata che risuona nel testo di Isaia ( 63, 16-19; 64,1-7: I lettura) dice la misura e l'intensità di tale attesa radicata profondamente nel cuore degli uomini. Dio soltanto può salvare! Per questo si implora il suo intervento: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!" Un'invocazione struggente, ma intrisa di fiducia filiale: "Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani". Il cuore dell'uomo, che i peccati hanno allontanato da Dio e reso inguaribilmente impuro, Lui può rinnovarlo, anzi riplasmarlo come in una nuova creazione.
La risposta di Dio al grido implorante dell'umanità è stata superlativa e superiore a ogni previsione: Gesù. Nel saluto di Paolo all'inizio della prima lettera ai cristiani di Corinto (1Cor 1,3-9: II lettura) si sente vibrare la gioia, l'entusiasmo per l'evento inaudito: "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo". Non è tanto un augurio, ma una dichiarazione, un lieto annuncio: la "grazia" - cioè l'amore gratuito e traboccante di Dio - e la "pace" - cioè la comunione piena con Lui e tra fratelli - vi sono state donate attraverso Gesù e voi ne godete. "Grazia e pace" che sono Gesù, nel quale "siete stati arricchiti di tutti i doni...". Coltiviamo la consapevolezza, umile ma senza complessi, che, potendo godere di questa presenza e venuta permanente di Cristo, siamo le persone più fortunate e più ricche del mondo? "...Nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo". Questo lieto evento, che Paolo chiama anche "il giorno di Gesù", i credenti lo aspettano con l'animo colmo di speranza.

Tale speranza è desiderio vivo, unito a fiducia invincibile, che il dono già ora posseduto ci venga accordato nella sua pienezza: "Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo nostro Signore". Il rapporto vitale con Gesù - e attraverso di Lui col Padre - è una realtà già presente, ma tutta protesa verso quel compimento definitivo, che Dio solo conosce e che sarà per noi una sorpresa assoluta.
Nel passo evangelico Gesù sottolinea l'aspetto operoso dell'attesa.
Nell'itinerario, che siamo chiamati a percorrere quest'anno, ci guiderà prevalentemente San Marco. Semplificando, possiamo dire che il suo progetto educativo è:
- aiutarci a trovare la risposta a due interrogativi fondamentali: Chi è Gesù? Chi è il discepolo?
- condurci alla maturità della fede, cioè a un rapporto sempre più personale con Gesù.
Il brano di oggi contiene la conclusione di un lungo discorso dove Gesù ha annunciato gli eventi futuri, che culmineranno nella sua venuta al termine della storia: "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti" (Mc 13, 26-27). La venuta gloriosa di Gesù opererà il raduno di tutti i figli di Dio dispersi, ricomporrà la famiglia per la festa senza fine.
A questo punto, però, Gesù, con una insistenza e una forza che impressionano, richiama la necessità di prepararsi al grande Incontro. In che modo? La "parola d'ordine", la parola chiave dell'Avvento (non solo come tempo liturgico, ma come dimensione dell'intera esistenza) è: "Vegliate".
Mentre aspettiamo la venuta del Signore, che è sicura ma non datata e prevedibile, dobbiamo vigilare, cioè in ogni momento dobbiamo essere pronti a rendergli conto. In effetti tutto ciò che abbiamo - a cominciare dalla nostra vita e dal nostro tempo - è un bene che Egli ci ha affidato e va gestito responsabilmente. Il primo imperativo "State attenti" (propriamente "guardate, tenete gli occhi aperti") viene specificato col "vegliate", ripetuto tre volte. La parabola dei servi a cui il padrone affida la sua casa, con uno speciale incarico per il portiere (cioè "vegliare") dice che la vigilanza consiste nell'essere costantemente all'erta in atteggiamento di servizio, pronti ad accogliere il Signore in qualunque ora e momento arriva.
In questo modo si supera una duplice tentazione: sia l'atteggiamento di chi ritiene imminente il "Giorno del Signore" e si perde in calcoli febbrili sul come e sul quando, estraniandosi dall'impegno concreto nella storia; sia il comportamento di chi non aspetta più nulla e si adagia nelle false sicurezze della vita presente, dimenticando che le realtà essenziali sono altrove.
"Vegliare" è tenere desta l'attenzione d'amore a Colui che verrà, ma che già viene e ci incontra (nella sua Parola, nei Sacramenti, nei fratelli). La qualità di questo incontro, attuato qui e ora, è decisiva rispetto all'Incontro finale, che per ciascuno è in un certo senso anticipato nel momento della morte.

- Cercherò di cogliere nei vari momenti della celebrazione eucaristica le preghiere che esprimono l'attesa e la speranza della Chiesa, e le farò mie.

- Gesù continua a ripeterci: "Vegliate", cioè in ogni attimo fate bene quel che Dio vuole da voi qui e ora.
State attenti a Gesù che qui e ora vi incontra: nella parola del Vangelo che ascoltate o lasciate risuonare dentro di voi; nell'Eucaristia che ricevete la domenica o visitate nel Tabernacolo lungo la settimana; in ogni persona in cui si nasconde e continua a dirvi: sono Io!.
Vegliare è "essere amore" qui e ora. Sono "amore" quando qui e ora mi ricordo di essere abbracciato dall'amore di Dio per me. Sono "amore" quando qui e ora cerco di ridonare questo amore a Lui e agli altri.

- "O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene"
"Vieni, Signore Gesù!".