Omelia (03-12-2001)
Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Verranno molti popoli e diranno: "Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, per-ché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri [...]. Egli sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra.

Come vivere questa Parola?
Nel tempo dell'Avvento la Parola di Dio è come una finestra spalancata sul Signore inteso come il Dio che viene ma anche sul fatto che l'attesa della sua venuta non riguarda né le singole persone né le singole nazioni e neppure la sola Chiesa Cattolica. La Parola si spalanca sull'universalità. C'è un Dio che, in Gesù, è venuto a prendersi cura dell'uomo. Proprio come è detto nel Vangelo odierno a proposito del servo del centurione. "Verrò e lo curerò". E, in questo prendersi cura, c'è il rendere possibile che camminiamo tutti sulle sue vie, che battiamo sentieri di culture, usi e costumi religiosi diversi, ma pur sempre "suoi" sentieri. "Vieni, camminiamo nella luce del Signore" invita il profeta. E spiega com'è questa luce. Se Dio è l'arbitro e il giudice non può esserlo che per l'amore, per la concordia, per la pace universale. Questo in Gesù il Padre è venuto a dire e a volere. Andare su altre strade vuol dire sbagliare tutto e cooperare alla distruzione.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiederò allo Spirito Santo di aiutarmi a scorgere quei recessi della mente e del cuore dove ancora sono "armato", dove non riesco ancora a deporre la spada di giudizi negativi e di sentimenti di freddezza, antipatia e astio. Verbalizzerò:

Gesù, che a proposito del servo ammalato hai detto al centurione, "verrò e lo curerò", vieni a curarmi, vieni a farmi capace di perdono facile, di mitezza e tenerezza.

La voce di un grande pittore, monaco archimandrita
Senza una nostra personale conversione non sopraggiungerà la "redenzione del mondo" che è redenzione dalla più terrificante maledizione: la guerra.
Sofronio Sakarov