Omelia (27-11-2005)
padre Gian Franco Scarpitta
Non "squarciare i cieli", ma portarli sulla terra

Ancora una volta veniamo spronati alla vigilanza, sulla scia dei moniti e delle riflessioni precedenti. Viene ribadito il duplice concetto di attesa del Signore da viversi nell'ottica della letizia e dell'entusiasmo, considerando che Egli tornerà alla fine dei nostri giorni per realizzare un incontro che per noi sarà piacevole nella misura in cui la nostra condotta sarà stata ? dice oggi San Paolo ? irreprensibile e ci saremo disposti all'operosità e alla laboriosità per il bene. Non ci è dato conocere il tempo esatto e le modalità in cui ci troveremo di fronte a Dio in occasione del giudizio, e sarebbe assurdo almanaccare sulle date probabili della fine, poiché cadremmo nel ridicolo dell'illusorietà; del resto è anche giusto che sia così: il ritorno di Crsito alla fine dei tempi non può non esserci celato, poiché l'esercizio della virtù e del bene trova motivazione non già nell'abrivio di una scadenza o di una data precostituita quanto piuttosto dalla consapevolezza di essere figli di Dio, suoi strumenti al presente nell'edificazione del mondo missionari con lui nel suo nome; insomma nello stesso adoperarci i n vista del Signore.
Ma la vigilanza non si richiede solo in vista della fine dei tempi.
restare desti e pronti è necessario in qualsiasi momento ai fini di percepire la presenza di Dio nella dinamica dell'oggi. Il Signore vuole intervenire nella nostra storia di tutti i giorni per rendersi partecipe delle nostre vicissitudini e per apportare alla quotidianità la sua carica di vita e di rinnovato vigore, per cui sarebbe deleterio per noi stessi restare indifferenti di fronte alla continua presenza di Dio.

Ora, se questo discorso assume la sua validità in ogni contestualità liturgica, esso è ancora più significativo adesso che intraprendiamo l'itinearario di quel periodo che ci condurrà a vivere la gioia dell'Incarnazione del Verbo ossia l'Avvento, che sfocia puntualmente nel Natale: appunto perché andiamo incontro al Signore che viene a scuotere l'umanità rendendosi egli stesso uomo (anzi Bambino) ci si chiede che intensifichiamo la vigilanza a partire dalla predisposizione interiore e dalla relazione personale con lo stesso Cristo Signore.
L'Avvento è insomma il tempo nel quale ora più che mai occorre che vigiliamo su noi stessi, sui nostri sentimenti, il nostro stato interiore ai fini di prescindere da ogni disinvolta freddezza e indifferenza per dare opportuno spazio alle ragioni del cuore che veicola il dono della fede nei rapporti con Dio. In altre parole ci si chiede di raccoglierci nella preghiera e nell'attenzione al Signore che vuole entrare nella nostra vita, di cercare spazi privilegiati in cui poter instaurare, nella fuga dalla mondanità e dal superfluo e perfino da noi stessi, il necessario rapporto di familiarità con Dio che intanto viene a cercarci senza condizioni per convincerci di quanto sia veritiero che Lui ci ama per primo; quindi ci si chiede di rivedere i nostri atteggiamenti con gli altri, abbandonando le acredini e le discordie per assumere quello che realmente è efficiente nelle nostre relazioni con gli altri, vale a dire la solidarietà, la generosità, l'apertura, l'amore al prossimo. Come anche ci vien chiesto di superare la tendenza al falso orgoglio e alla prevaricazione sugli altri in vista dell'umiltà e della mansuetudine, di abbandonare false ambizioni e futili tendenze di arrivismo e finalmente di adoperarci affinché il nostro potenziale e i nostri talenti vengano sfruttati a beneficio degli altri.
In una parola, l'Avvento è il tempo dell'attesa entusiasta del Signore che viene a trovarci e verso il quale noi corriamo incontro e per ciò stesso è il tempo della letizia e della gioia che rendono spasimante e piacevole l'attesa, come quando si attende che arrivi un affettuoso parente che non vedevamo da tanto tempo.
Il profeta Isaia afferma che da parte dell'uomo Dio viene atteso sempre con molta ansia, al punto da desiderare che Egli si renda anche tangibile ed esperibile ai sensi, così come afferma questa espressione che recide il brano della prima Lettura di oggi: " Se tu squarciassi i cieli e scendessi!"
Anche se in effetti i versi precedenti suggeriscono che quello che viene atteso dagli uomini è il Dio padre e redentore agente di misericordia, amore e perdono, è tuttavia indiscutibile il dato di fatto che oggigiorno si preferirebbe davvero che Dio si imponesse nella vita degli uomini irrompendo nel quotidiano e sconvolgendo anche gli elementi del cosmo, visto che la nostra epoca presenta tante attese di giustizia nella persona di tante vittime dell'odio, della violenza e della discriminazione dovuta al mancato riconoscimento dei diritti dell'uomo. Il sangue sparso in ogni angolo del pianeta nonché la moltitudine di bambini uccisi tutti i giorni dalla fame nonché la discrepanza sempre più crescente fra ricchi e poveri bastano già da se stessi a rendere l'idea di come si invochi l'intervento di un Dio che sconvolga determinate situazioni assurde...
Ebbene, in Cristo che si renderà Bambino Dio sarà ben lungi dallo "squarciare i cieli" e dallo scuotere le montagne, ma porterà i cieli sulla terra, poiché si renderà solidale con l'umanità povera e abbandonata soffrendo da uomo con essa e apportandovi la motivazione della speranza in un futuro migliore, poiché sperimenterà la semplicità e l'immediatezza di un Fanciullo abbandonato alla precarietà e agli stenti nonché la frustrazione dell'abbassamento e della nullità. Verrà però ad instaurare il Regno di Dio i cui primi destinatari sono proprio gli ultimi e gli esclusi ed è per questo che occorre riaffermare la necessità di un Avvento fervoroso nel gaio e nella letizia, di un'attesa viva ed entusiasta che il divino si immerga nell'umano...