Omelia (06-11-2005)
mons. Antonio Riboldi
Vivere... sempre in attesa

Se c'è un modo errato di vivere il quotidiano è quello di "camminare con la testa tra le nuvole", come si dice di chi non dà peso al senso della vita. Questa è un bene che ci è stato dato da Dio per un fine soltanto: quello di un pellegrinaggio verso l'eternità, ossia di un ritorno a quella Casa che è la vera ragione della vita: la Casa di Dio, che è il vero "OGGI" senza tramonto e soprattutto senza quelle sofferenze che distinguono questa esperienza terrena.
C'è una parola che definisce tutto questo: l'escatologia, ossia il domani. Ma è facile perdersi nel presente, finendo col consumare tutto nel presente e non pensando al futuro, se non materiale.
Ma viene il giorno in cui lo Sposo, come è nella parabola di oggi, arriva nella notte. La vita Gesù la trasforma in una attesa vigilante, con una provvista di lampada e olio, che renda pronti a seguirLo.
Non sono ammesse distrazioni di sorta...perché la vita è davvero un bene serio che non può essere consumato come merce di poco conto, che finisce nel momento stesso in cui diventa merce.
Dice S. Paolo: "Fratelli, non vogliamo lasciarvi nella ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e resuscitato; così come quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui. Ora vi diciamo, sulla parola del Signore, noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un suo ordine, alla voce dello Arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo: quindi noi, i viventi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nubi, per andare incontro al Signore nell'aria e così saremo sempre con il Signore" (1 Tes. 4, 13-18).
La vera sapienza sta nel sapere coniugare quanto siamo chiamati a vivere su questa terra con l'attesa "della sua venuta", ossia con il futuro di Dio. Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo tutti, che ciò che noi compiamo qui, di piccolo o grande, se non è un diario di fede e di amore, come passi di pellegrini verso la Patria, o come attesa delle vergini sagge, come affermava spesso mia mamma sono "fatiche che finiscono in un sacco che non ha il fondo", ossia il sacco rimane sempre vuoto, perché tutto si perde nel nulla. Un esempio: vissi una intera giornata con una persona amica, gomito a gomito. Inizialmente sembrava che il tempo fosse tutto per noi due, lasciando fuori della porta la vita normale, che avrebbe impedito uno stare insieme serenamente. Una giornata per noi. Ma lentamente fecero capolino tutte le realtà che componevano la sua vita quotidiana. Gesù avrebbe detto a questo mio amico quello che disse a Marta: "Marta, Marta tu ti preoccupi per troppe cose e ti agiti; Maria tua sorella ha scelto la parte migliore che non le sarà mai tolta". Prima una telefonata dal telefono fisso, poi passò a ben due cellulari che squillavano in continuità. All'improvviso ebbe il ricordo di un appuntamento di affari, che non poteva assolutamente tralasciare: "Breve - mi disse - questione di minuti". Una folle corsa in macchina, che sembrava volesse inghiottire la strada. Un precipitoso ritorno e con il fiatone, mi disse: "Finalmente eccomi qua". Ma subito fu afferrato da tante altre cose. Tutto questo frastuono di vita era condito con: "scusi, ma oggi è una giornata veramente storta, una di quelle che non si vorrebbero mai quando in casa si hanno gli amici". Ed io: "Non si dia pena per me, so attendere". L'unico momento per noi due fu quando mi accompagnò all'aeroporto. Fu lui stesso a definire quel tumulto, che chiamano vita impegnata, "Giornata pazza". 'Veramente è da pazzi non avere più tempo per quanto conta: l'amicizia, la serenità, il riposo, il pensare al futuro.
Ma chi non chiude la sua giornata, il più delle volte, con il senso di avere speso tutte le energie, emarginando ogni valore, ed alla fine con la sensazione di aver vissuto per nulla? C'è gente che, di fronte a questa sensazione di vivere senza speranza, senza un senso che oltrepassi la cappa di piombo del tempo che oscura l'eternità, nauseata, o si dà ad una vita sfrenata, vita di notte, svendendo ogni possibile gioia al divertimento, o alla droga e quanto altri...ma senza riuscire ad essere felice.
La felicità, la serenità della vita ha un costo grande, ma stupendo. E' quel conservarsi, anche nel tumulto della vita, sereni interiormente come se vivere, lavorare, soffrire, fossero solo la cornice di un bello che è la vita dello spirito, ossia l'attesa dello sposo che verrà di notte quando meno ce lo aspettiamo e vuole trovarci pronti con la lampada accesa.
Ci sono persone che sanno vivere questa attesa del futuro e fanno della giornata, del lavoro, delle occupazioni, un passo verso l'infinito, ossia con il corpo a terra ma l'anima in cielo. Ci sono, credetemi. E sono le persone che respirano e fanno respirare serenità. Ne incontro, e tante, e mi dicono sempre: "perché preoccuparsi? L'unica preoccupazione è guardare in Alto, dove finalmente regna gioia".
E penso a tanti e tante che hanno donato la vita a Cristo, vivendo per Lui nei monasteri o anche nella vita privata, ma sempre sereni perché la loro vita, con la consacrazione, già l'hanno totalmente donata a Dio. Hanno messo le mani avanti. Chiesi una volta, alla Badessa di un monastero, come mai, quando muore una suora, suonano le campane a festa? La risposta è quella del Vangelo di oggi: "Noi abbiamo avuto il dono di fidanzarci con Gesù, per sua scelta e per sempre. La morte altro non è che il giorno dell'incontro con lo Sposo ed entrare con Lui a nozze. Non si possono suonare le campane "a morte", ma campane a "festa", perché finalmente si è giunti a celebrare il matrimonio con Cristo".
Ed è davvero bella, semplice, ma nello stesso tempo austera, la parola di Gesù oggi: "In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Il Regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo Sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque sagge: le stolte presero le lampade ma non presero l'olio con sé. Le sagge invece, insieme con le lampade, presero l'olio in piccoli vasi. Poiché lo Sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte, si levò un grido: Ecco lo Sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non venga a mancare a noi e a voi: andate piuttosto a comprarne. Ora mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo Sposo, e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, Signore, aprici! Ma Egli disse: In verità, in verità, vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora" (Mt. 25, 1-13).
Viene da chiederci tutti, a cominciare da me: noi siamo vigili come le vergini sagge con l'olio della fede e dell'attesa? o siamo stolti? Dura la Parola di Dio a chi è stolto: "non vi conosco". Questa è la verità di ogni vita. E nasce una domanda: ma è possibile essere saggi, secondo Cristo, in questo mondo che fa di tutto perché siamo stolti? Come fare a vivere da saggi?
C'è un brano della lettera a Diogneto che risale ai primi tempi della Chiesa, quando i cristiani erano costretti a vivere accanto ed in mezzo a un mondo pagano, come il nostro. Era la regola della loro vita: "I cristiani abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto, le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e a detta di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano gli onori come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è per loro una patria, mentre ogni patria è per loro terra straniera...Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo...Amano tutti e da tutti sono perseguitati...Sono poveri ma arricchiscono tutti..." Un vero esempio di saggezza che attende lo Sposo.
Come vorrei che tutti voi, che mi leggete, foste come questi primi fratelli: piantati in questo mondo, ma non di questo mondo. Difficile? Necessario! Perché in gioco vi è l'eternità con lo Sposo. E non vorrei che a nessuno di voi Gesù alla fine dicesse, quando busseremo alla sua porta: Non vi conosco.
C'è una nostalgia del cielo che a volte si fa grande. Mi capita, e penso a tutti, quando ci rechiamo, per esempio, a Lourdes. Ricordate tutti la famosa processione con le candele accese, tanto simile alla veglia delle vergini sagge. Si recita il S. Rosario, camminando insieme: una grande processione. Lentamente si fa strada in quell'aria mistica una voglia di cielo. E viene una grande nostalgia fino alle lacrime quando cantiamo: "Andrò a vederla un dì, in cielo, patria mia!" In quel momento, in quella divina atmosfera, quante volte ho desiderato veramente di "andare", sicuro che ad attendermi in cielo avrei trovato due grandi braccia ad accogliermi, quelle di Maria. E il desiderio della terra, con tutto ciò che ha, si allontana fino a diventare davvero "terra straniera", come per i primi cristiani.
Che sia così, sempre.