Omelia (13-09-2020)
diac. Vito Calella
Ti perdono per due motivi

Invito a perdonare il prossimo.
La parabola che il Cristo risuscitato propone per noi oggi è una autorevole commento alla petizione della preghiera del «Padre nostro» e all'ammonizione che segue subito dopo, attestata solamente nel Vangelo secondo Matteo: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6, 11); «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6, 15-16). Fanno da eco altri passaggi della Parola di Dio, a partire dalla prima lettura ascoltata oggi: «Perdona l'offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l'uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio?» (Sir 28,2-4); «Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà avuto misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio» (Gc 2,12-13).
Perdonare è difficile!
Viene spontaneo affermare che è difficilissimo perdonare, soprattutto quando le azioni malvagie rasentano l'assurdità e l'orrore. Addirittura ci viene da contestare l'idea che perdonare significa dimenticare gli orrori del male subito, come abbiamo ascoltato dal libro del Siracide: «Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l'alleanza dell'Altissimo e dimentica gli errori altrui» (Sir 28, 9). Bisogna cancellare la "memoria" dell'olocausto degli ebrei, delle foibe, dei genocidi commessi nella storia umana in nome del perdono? È ingiusto. La mia dignità umana può essere annichilita dalla violenza e dall'abuso sfrenato del piacere egoistico dell'altro; per uno sbaglio da me commesso può ricevere il contraccambio con l'aggressività vendicativa di chi ha subito il torto; può essere violata dalla paura che l'altro ha di perdere le proprie sicurezze divenute idolatrie.
L'essere umano, unica specie capace di pensare e di controllare valutando coscientemente delle proprie azioni, rimane allibito di fronte alla potenza delle reazioni emotive e demoniache di chi serba rancore e medita vendetta per i danni subiti, di chi è schiavo dei propri impulsi di soddisfazione immediata dei suoi piaceri egoistici e di chi è disposto a tutto pur di non perdere le sicurezze materiali e terrene a cui ha inesorabilmente legato il suo cuore, soprattutto il patrimonio finanziario e materiale.
Ti perdono per due motivi.
Per superare lo scoglio della difficoltà di perdonare il nostro prossimo dovrebbero bastare due motivi, deducibili dalla nostra esperienza di vita.
Il primo: siamo più debitori che creditori.
Dopo il racconto del diluvio universale lo scrittore biblico mette in bocca a Dio le seguenti parole: «Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza» (Gen 8,21b).
Tutti siamo peccatori. Siamo più debitori che creditori perché ci lasciamo condizionare dalle nostre reazioni istintive e da comportamenti determinati da motivazioni inconsce, piuttosto che dalla nostra coscienza pensante.
Siamo più debitori che creditori perché quando ci sentiamo giusti e nel diritto di esigere dagli altri, in verità non ci rendiamo contro del male che provochiamo, assumendo stili di vita conformati ad una cultura dominante non rispettosa della dignità degli altri e del valore della natura.
Ciascuno di noi può accumulare un debito immenso di fronte al Padre unito al Figlio nello Spirito Santo a causa delle sue azioni contro la dignità dell'altro, soprattutto nella tessitura delle proprie relazioni umane, ma anche nella tessitura delle relazioni con specie animali, vegetali e con le cose stupende del creato.
Siamo più debitori che creditori.
Pensando alle nostre relazioni umane siamo consapevoli che la forza brutale della rabbia e del rancore è davvero pericolosa. Essa oggi viene smascherata dall'insegnamento divino della sapienza di Ben Sira. Da buon padre spirituale ci invita a riflettere: «Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro» (Sir 27,30).
Nel nostro cuore si annida il demonio della collera, può covare lo spirito di vendetta.
Dopo la morte di Caino, attestata nel libro di Genesi, troviamo due passaggi drammatici che ci mettono in guardia di fronte al pericolo della vendetta che può subire una escalation e superare ogni limite di equità e ragionevolezza della legge "occhio per occhio, dente per dente": «Ma il Signore gli disse: "Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!". Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse» (Gen 4,15). Continuando la lettura del testo, Lamech, discendente di Caino, dice: «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gn 4,24). Siamo più debitori che creditori.
Pensando alle nostre relazioni umane: quante discordie nascono a causa del possesso dei beni materiali, per la divisione di un'eredità familiare, per la difesa del patrimonio e del proprio capitale finanziario?
La parabola raccontata da Gesù ha per oggetto la questione economica del debito. Il creditore rivendica al debitore il suo capitale. Per giuste questioni di soldi si rompono facilmente relazioni di comunione radicate da anni.
Siamo più debitori che creditori.
Il secondo motivo per perdonare il prossimo: siamo peccatori (debitori) già perdonati dal Padre!
La parola di Dio oggi ci chiede di fermarci e considerare quale debba veramente essere il vero possesso e investimento del nostro cuore: Cristo Signore! Egli è morto e risuscitato per comunicarci e donarci l'immensità della misericordia del Padre, per la sua eterna fedeltà all' alleanza di comunione con noi. Gesù è morto in croce ed risuscitato per noi e per la nostra salvezza. L'eucaristia è memoriale di questo incalcolabile dono di salvezza. Conoscere lui e il Padre che lo ha mandato è la vita eterna (Gv 17,3), che possiamo già pregustare nella tessitura delle nostre relazioni quotidiane di ogni giorno investendo il capitale di «diecimila talenti» che sta in noi, cioè l'amore divino dello Spirito Santo, effuso gratuitamente nei nostri cuori. Non sperperiamo l'immenso dono che il Padre ci ha fatto del suo Figlio, il Cristo risuscitato, per mezzo del quale abbiamo ricevuto i «diecimila talenti» dello Spirito Santo! Viviamo di gratitudine ricordando le parole del salmo che abbiamo pregato: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore» (Sal 103,8). Non lasciamo passare invano le parole ispirate dell'apostolo Paolo: «Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14, 7-8). Solo quando avremo fatto esperienza di essere peccatori già perdonati dal Padre unito al Figlio nello Spirito Santo avremo la forza di deciderci sinceramente per la scelta di perdonare i nostri debitori, nonostante la gravità del male subito, confidando che solo Dio può scrivere diritto sulle linee storte della storia umana contrassegnata da tante ingiustizie. Possiamo imparare a perdonare sempre: «settanta volte sette».
Accogliamo dunque le esortazioni che ci vengono da altri testi della Parola di Dio, illuminanti in questo giorno in cui siamo invitati a perdonare il nostro prossimo:
«Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4,32); «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Col 3,12-13).