Omelia (28-06-2020)
don Luca Garbinetto
Mi ami tu pi? di chiunque altro?

"Chi ama padre e madre,...figlio e figlia pi? di me, non ? degno di me" (v. 37). Pare un esordio disastroso, quello di Ges?, se volesse guadagnarsi la simpatia dei suoi ascoltatori. In realt?, non si tratta di esordio: nei versetti precedenti egli stesso aveva annunciato di essere venuto a portare dissensi e spada, per nulla pace in famiglia (cfr. vv. 34-36). Peggio ancora! Niente da fare: questo messia non ? certo uno che rivendichi approvazione o che ricerchi compiacenza. ? duro il suo parlare!
E tuttavia non va dimenticato che nei paragrafi ancora precedenti, il Maestro si era premunito di assicurare la cura fedele e perseverante del Padre, con il suo amore privilegiato per i piccoli, soprattutto se perseguitati e oppressi (cfr. vv. 19.29-30). Dunque l'orizzonte di riferimento ? quello di un paterno abbraccio, di smisurata benevolenza, che non si esaurisce anche di fronte al pericolo della morte dell'anima e del corpo (cfr. v. 28b).
Ecco perch? sarebbe un errore imperdonabile considerare l'affermazione drastica da cui siamo partiti come una formale espressione di competitivit? tra Ges? e i parenti pi? stretti, i propri cari ai quali si deve la gratitudine per la vita ricevuta o lo stupore per avergliela donata. Nessuna competizione: qui non si tratta di paragoni e di alternative, ma di gerarchie. Ges? non sta mettendo in discussione il bene racchiuso nell'amare i genitori e i figli, bens? l'intenzione e la modalit? con cui si vive tale amore. O meglio, le maschere spesso indossate per camuffare gli scivolamenti dell'amore in possessivit?. Perch? il criterio di valutazione, per mettere in ordine le cose, viene espresso da quanto viene dopo: ? il criterio della croce, manifestazione massima dell'amore che Ges? stesso ha vissuto e portato su di s?, perch? prima ce l'aveva dentro di s?.
Che cos'? la croce? Nella logica matteana, ? la capacit? di cedere le armi, ? la sconfitta della pretesa di guadagnarsi la vita da soli. Insomma, il vero antagonismo non sta tra parenti e amici da una parte, e Ges? dall'altra. Sta piuttosto tra la centralit? dell'io o la centralit? di Dio. Detto con chiarezza: al primo posto, sempre e per chiunque, deve starci Dio, il Padre. E Ges? ? il volto del Padre che si rivela a noi, fino alla fine, sulla croce. Rivendicando per s?, rispetto a chiunque altro, un amore ?di pi?', Ges? sta rivendicando di essere Dio. E Dio merita - s?, a onor del vero, se lo merita proprio - di stare al vertice della gerarchia dei nostri amori.
L'alternativa, dicevamo, non sono i parenti stretti, ma il proprio io, elevato alla stregua di idolo. "Chi avr? tenuto per s? la propria vita" (v. 39)...? espressione riconducibile alla presunzione del guadagno e della conquista. "Tenere per s?" ? il verbo di chi raccoglie dove lui ha seminato (cfr. Gen 26,12). ? l'azione di chi trattiene i frutti del proprio lavoro, come salario del sudore della fronte, come merito della propria fatica. Niente di male, verrebbe da dire, specialmente in tempi in cui si rischia di vedere troppi imbroglioni che rubano e cercano il guadagno facile (ma sar? un tratto solo dell'umanit? di oggi?). Ma andando pi? a fondo, siamo davanti al paradosso di chi pensa di essersi procurato da solo la vita, e di non dover dire grazie nemmeno ai propri genitori, oppure di poter vantare il diritto di propriet? verso i propri figli. I "nostri cari" diventano, senza accorgersene - almeno non subito -, alla stregua di oggetti con cui compensare il bisogno di sentirsi padrona di se stessi. Cos? si degenera, piano piano, fino a manipolare e ad abusare della vita stessa.
Ma la vita non ci appartiene! Verit? tanto evidente, quanto dura da mandar gi?. E chi si attacca alla propria vita come fosse un premio ottenuto per bravura o per talento, inesorabilmente ? destinato a perderla, perch? semplicemente non la vive pi?. Attaccarsi alla vita significa trattenere i corpi e le anime dei propri congiunti solo per averne gratificazione, fosse anche da un ritorno di gratitudine e di riconoscenza. Cos? si perde il gusto della gratuit?, e si consolidano atteggiamenti difensivi e paranoici nel disperato tentativo di difendere quello che in realt? ? destinato a darsi.
Perch? la vita ? per definizione un dono. Come tale, rimane vita se ? dono anche nell'esperienza. Si tratta quindi proprio di perderla per lasciarla essere se stessa. Nessuno pu? rivendicare di essersi dato la vita, nemmeno di essersela procurata da s?: c'? sempre qualcuno a cui essere debitori. Quindi la vita pu? essere vissuta bene solo nel continuare a farne un dono, nel rispettarne cio? l'essenza. Si vive bene se si vive da debitori.
Se poi ci si rende conto che anche coloro che sono stati strumenti perch? noi avessimo la vita, in realt? ne devono dare merito a loro volta ad altri, e a un Altro, ecco la pienezza dell'amore vero. L? si scardina l'inevitabile senso di insicurezza che invoca un atto di fiduciosa consegna. Accogliere la vita ? in fatti consegnarsi, ma alla Fonte.
Sarebbe come un frutto buono che, potendo parlare, non si accontenta di ringraziare n? il ramo n? l'albero per essere stati strumenti della sua nascita e maturazione, ma innalza una lode alla terra e al cielo che hanno reso possibile l'esistenza di tutti. Perdere la propria vita "per causa mia" (v. 39b) ? quindi invito delicato e vigoroso di Ges? per non accontentarci delle gioie di questa terra e alzare gli occhi fino al Cielo, fino alla Fonte prima della vita intera: quel Padre che ha fatto di Ges? per primo un dono totale di s? sulla croce, cos? da consegnare a noi la Vita in pienezza. Quella dello Spirito, oltre a quella della carne.
Siamo entrati cos? nella logica dell'amore divino. Un amore che diventa necessariamente famigliare e comunitario. Garantendo la gerarchia che mette ordine ed evita gli sprechi di energie. Anche nei rapporti all'interno della Chiesa, che Matteo rivela nei versetti successivi. Dagli apostoli (guide della comunit?), ai profeti che insegnano la Parola, ai giusti che testimoniano una vita di santit?, fino ai piccoli che sono discepoli nel loro costante contatto con il debito della vita: queste relazioni, custodite e rispettate nella loro necessit?, permettono di recuperare la meraviglia degli amori terreni impregnati di Spirito di Dio.
No, Ges? non ce l'ha con la famiglia, anzi. E se prima della sua mamma, gi? a 12 anni ha imparato a porre la ricerca della volont? del Padre (cfr. Lc 2,29), ? stato soltanto per aiutarla ad essere madre universale, in una Famiglia ancora pi? grande (cfr. Gv 19,27). Anche per noi ? cos?: amare Ges? sopra ogni cosa, per divenire membri, nella Chiesa, dell'unica Famiglia dei figli di Dio. Figli e fratelli: esperti, dunque, di amore e di vita donata.