Omelia (26-09-2003)
Paolo Curtaz


"Voi, chi dite che io sia?". Se vi sentite in cammino, sulla strada della fede, allora questa domanda dovete avere il coraggio di porvela, ogni volta che iniziate a fare qualcosa. Ai "professionisti del sacro" preti e laici impegnati in testa, la più grossa disgrazia che può succedere è quella di costruirsi un universo tutto incentrato su Cristo: parlare di Lui, celebrare Lui, ascoltare Lui. Senza che Lui ci sia. Già, è un'esperienza terribile ma reale, abituarci a compiere le cose di Cristo perdendo di vista l'essenziale, il nucleo. E' come se Gesù mi dicesse: "Lo so che studi di me, mi preghi, ti organizzi perché altri mi possano conoscere, d'accordo, fai bene. Ma ora restiamo a parlare cuore a cuore, nel vero, nel profondo". Questa frase, rivolta a ciascuno, senza preamboli, come una staffilata, deve ancora echeggiare e scuotere, far vacillare le nostre più o meno grandi sicurezze. Amici che vi impegnate nella Pastorale, con i giovani, gli ammalati, catechisti, cantori, voi che passate il tempo libero a servire i poveri: chi ve lo fa fare? Gratificazione? O perché ci siete "tagliati"? No. Scusate la durezza ma occorre andare alla radice: per Cristo. Parlo di Lui perché gli appartengo, servo i poveri perché in essi riconosco il Suo volto, canto la Sua gloria perché mi riempie il cuore. E tutto questo, notate bene, avviene in un duplice contesto: "in un luogo appartato a pregare", cioè nella casa interiore della preghiera e prima dell'annuncio della Passione. Riconoscere che Gesù è "Cristo" della mia vita, cioè Signore, Presenza, Unico, Dio, significa sinceramente mettersi in discussione, senza una affrettata risposta da catechismo, ma con la coscienza che la professione di fede passa attraverso la fatica, la salita, la croce.

Tu sei il Cristo, la nostra vita, Signore, per te oggi iniziamo questa giornata, a te la affidiamo, te vogliamo conoscere, e amare, e possedere.