Omelia (17-05-2020)
diac. Vito Calella
Conoscere e amare Gesù, farlo conoscere e farlo amare, abitati dal Paràclito

Il grande ideale di vivere con Cristo nel cuore, nella famiglia, nel lavoro, nella comnunità.
Il cristiano autentico dovrebbe domandarsi: «Invocando incessantemente ogni giorno lo Spirito Santo, qual' è il mio grande ideale?» Si può rispondere con due frasi che riassumono la vita di santità di don Ottorino Zanon, fondatore della Pia società san Gaetano: «Con Cristo nel cuore, nella famiglia, nel lavoro, nella comunità», «Conoscere e amare Gesù, farlo conoscere e farlo amare».
Fanno eco alla parola di Dio ascoltata oggi per mezzo della testimonianza dell'apostolo Pietro: «Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). Fanno eco anche alla richiesta esplicita di Gesù di "essere amato".
Raramente Gesù ha chiesto esplicitamente ai suoi discepoli di amarlo. Lo chiede solo quattro volte. Lo fa nel suo testamento proprio nel capitolo 14 del Vangelo di Giovanni. Due volte ce lo ripete con le parole rivolte a noi in questa domenica: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15a); «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» (Gv 14,21a). Più avanti dirà: «Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole» (Gv 14,23-24a).
Ascoltare le Parole del Signore e custodirle.
Per vivere «con Gesù nel cuore, nella famiglia, nel lavoro e nella comunità» la prima scelta da fare è invocare lo Spirito Santo e pregare ogni giorno con la bibbia aperta, lasciando penetrare in noi, nella mente e nel cuore, le parole di Gesù, diventandone custodi.
Amiamo la Parola di Dio e lasciamoci stupire dal suo potere di conversione, come abbiamo potuto contemplare grazie alla testimonianza del diacono Filippo, evangelizzatore di Samaria (At 8,5-8)! Le parole custodite nel cuore e nella mente ci accompagnano nel corso della giornata, tra una azione e l'altra della frenetica vita quotidiana.
Vivere in comunione.
Lo Spirito Santo in noi e la Parola di Dio custodita ci fanno avere uno sguardo diverso, più profondo, più contemplativo su tutte le relazioni che intessiamo con gli altri e con l'ambiente circostante. Familiarizzando soprattutto con l'inesauribile ricchezza dei quattro Vangeli, ci rendiamo conto che sono pochi i comandi che Gesù ci ha lasciato.
Il primo è quello della diaconia o del servizio: «Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti» (Mc 10,43-45) che corrisponde al comando lasciato dopo il gesto della lavanda dei piedi: «Se io, il Signore e il Maestro ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Gv 14,23-24a).
Il secondo è il comandamento nuovo: «Che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12b).
L'unica maniera di «amare Gesù, farlo conoscere e farlo amare» è l'amore fraterno come lui ci ha amati, è l'unità nella carità tra di noi come lui è unito al Padre nell'opzione fondamentale dell' obbedienza alla sua volontà, è quella comunione in cui circola il reciproco rispetto e la reciproca consegna della propria povertà e vulnerabilità: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12, 31). Lo Spirito Santo in noi, che unisce in unità il Figlio al Padre, ci unisce in unità con la stessa forza di gratuità rispettosa della dignità di ciascuno. L'essere uniti nella carità tra di noi rende autentico il nostro amore verso il Padre unito al Figlio. Così possiamo dire, con gioia, di amare Dio «con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente e con tutta la nostra forza» (Mc 12, 29).
Sentirsi in comunione con tutti.
Il mio ideale personale di «conoscere e amare Gesù, farlo conoscere e farlo amare» non è mai vissuto individualmente, è piuttosto una gioia condivisa «nella comunità» con chi, come me, ha scelto di avere «Gesù nel cuore», per portarselo «nella famiglia, nel lavoro», rispondendo all'appello del Padre di santificare la vita quotidiana. Allora sprizziamo di gioia per sentirci uniti nella carità tra di noi esseri umani e sentirci in comunione con le cose, le piante, gli animali, cioè con l'esuberante bellezza della natura, perché tutto è dono e nulla ci appartiene.
È questo il senso delle parole di Gesù, quando ci comunica che «l'altro Paràclito, lo Spirito di verità, rimane presso di noi e abita in noi per sempre» (Gv 14, 17). Il rimanere «presso di noi», vicino, a lato, attorno a noi significa saper cogliere con il nostro sguardo di fede gli altri, fratelli e sorelle con la loro corporeità vivente, come altrettanti templi dello stesso Spirito Santo, abitante in ciascuno di noi. Significa anche saper cogliere con il nostro sguardo contemplativo ogni cosa ed ogni essere vivente della natura come espressione dell'eccedenza di dono dello stesso Spirito Santo, rivelando a noi la bellezza della provvidenza divina per la pienezza del nostro vivere. Lo Spirito Santo è in noi e ci circonda di gratuità.
Uniti in Cristo tra le avversità dell'egoismo umano.
Ma questa eccedenza di gratuità è soffocata dall'egoismo umano: «il mondo non può ricevere lo Spirito di verità perché non lo vede e non lo conosce» (Gv 14,17). Viviamo in mezzo a tanta gente col cuore di pietra, illusa di poter bastare a se stessa, pronta a deridere chi si dichiara gioiosamente per Cristo. Gesù parlò ai suoi discepoli prima di affrontare l'opposizione del mondo, cioè la potenza dell'egoismo umano che si sarebbe scagliata contro di lui, il giusto, e gli avrebbe fatto patire la morte di croce. Gesù, fino a quel momento era stato il primo Paràclito dei suoi discepoli: presenza sicura, come un avvocato a fianco di chi affronta un processo, sia perché è perseguitato per essere giusto, ma soprattutto perché riconosce di essere reo, imputato, peccatore. Dio ci parla per mezzo dell'apostolo Giovanni, che nella sua prima lettera scrive: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto» (1Gv 2,1).
Dio ci parla per mezzo dell'apostolo Pietro, il quale era presente quella notte in cui Gesù promise l'altro Paràclito. L'unità nella carità, che ci rende uno in Cristo, diventi anche testimonianza di rispetto e pazienza verso i nostri nemici, verso coloro che ci perseguitano, verso la gente ancora schiava del suo egoismo, incapace di scoprire nel profondo della sua anima il tesoro nascosto dello Spirito Santo. Diamo allora ragione della speranza che è in noi facendolo «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di noi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla nostra buona condotta in Cristo» (1Pt 3, 16).
Abitati dal Paràclito avvocato, consolatore e consigliere.
Non siamo orfani di Cristo. Lo sentiamo nel nostro cuore, lo percepiamo vicino a noi in ogni nostra attività domestica, nel nostro impegno educativo di genitori o nella nostra fatica di rispondere, come figli, alla vocazione che il Padre ha riservato per noi, nella sfida di essere cristiani nel nostro ambiente di lavoro. Amiamo Gesù e vogliamo farlo conoscere e farlo amare. Lo ringraziamo continuamente perché lui «è morto una volta per sempre per i nostri peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio; è stato messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito» (1Pt 3,18). Siamo consapevoli, come ci insegna la parola di Dio, per mezzo dell'apostolo Paolo, che «nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3b). Prepariamoci allora alle prossime feste dell'Ascensione e della Pentecoste fortificandoci con l'invocazione dello Spirito di verità, chiedendo il Paràclito, già presente in noi, riconoscendolo con gratitudine come nostro avvocato e difensore, consolatore e amico sicuro, consigliere e suggeritore.