Omelia (05-04-2020)
mons. Roberto Brunelli
La risposta sta nella parola amore

La dolorosa eccezionalità del tempo che stiamo vivendo si percepisce appieno quando ci vediamo impediti dal fare ciò cui più teniamo. Nell'ottica della fede, la celebrazione più importante dell'anno è quella della Pasqua: e per la prima volta dopo duemila anni, quest'anno non si celebra, almeno nella forma tradizionale, con la presenza fisica e la partecipazione attiva dei fedeli. La televisione aiuta, permettendoci ad esempio di seguire i riti celebrati dal Papa; ma non è, né potrà mai essere, come partecipare di persona. E allora, cercando di fare necessità virtù, almeno profittiamo del forzato raccoglimento per riflettere sul significato di qualcuno di quei riti.?
Con la processione delle Palme e, poco dopo, con la lettura durante la Messa del vangelo della Passione (quest'anno, quello di Matteo, capitoli 26 e 27), la liturgia di oggi celebra due momenti della vita di Gesù, tra loro vicinissimi eppure contrastanti come più non si potrebbe: dapprima il suo trionfale ingresso a Gerusalemme tra la folla osannante; qualche giorno dopo, la sua indicibile passione. Basterebbe questo a ricordare la precarietà delle sorti umane, l'inaffidabilità del successo, la necessità di riporre la propria vita in mani più sicure di quelle degli uomini.?
Dalla sconvolgente narrazione di quanto Gesù ha potuto soffrire, ricordando che egli sapeva a che cosa andava incontro, sorge drammatico un interrogativo: perché? Perché non si è sottratto a tanto strazio, a una fine così ignominiosa? La risposta, si sa, sta nella parola amore. Il Crocifisso, di cui la civiltà cristiana ha fatto il proprio emblema, è l'attestazione di quanto sia grande l'amore di Dio per gli uomini.?
Il "sì" ad un amore autentico è sempre anche fonte di sofferenza, perché comporta un'espropriazione del proprio io; l'amore vero non può esistere senza rinunce anche dolorose, altrimenti diventa egoismo e dunque si annulla. Ma bisogna considerare davvero importante la persona amata, per essere disposti a soffrire per lei: il Crocifisso dimostra quanto gli uomini siano importanti per Dio. Di natura sua Dio non può patire; ma ha considerato l'uomo di un valore tale da essersi Lui stesso fatto uomo per poter com-patire, cioè "patire con", e per, l'uomo. E non a belle parole, ma in carne e sangue, con una concretezza da capogiro.?
Ogni vangelo tramanda qualcuna delle parole da lui pronunciate durante la sua agonia fisica; Matteo riporta un grido: "Elì, Elì, lemà sabactàni?", che tradotto dall'ebraico significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Questa espressione è stata spesso equivocata: già qualcuno dei presenti ha pensato che egli invocasse il profeta Elia; altri, anche di recente, l'hanno voluta interpretare come un segno della sua disperazione, che annullerebbe il valore del suo sacrificio. Invece il senso corretto sta nella Bibbia stessa; Gesù cita, applicandolo a sé, il Salmo 21, che comincia proprio con quelle parole e prosegue anticipando in modo impressionante quanto poi è davvero accaduto: "Si fanno beffe di me quelli che mi vedono... Mi assedia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa... Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte...". E però il Salmo prosegue esprimendo la piena fiducia in Dio, il quale "non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero; al suo grido d'aiuto lo ha esaudito. E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza; al popolo che nascerà diranno: Ecco l'opera del Signore".?
Il salmo che Gesù in croce ha fatto proprio, per manifestare tutti i suoi sentimenti, si conclude con questa espressione: "Io vivrò per lui". Nel buio di quella morte già si annuncia la luce della risurrezione.