Omelia (12-05-2019)
diac. Vito Calella
Pastore bello in quanto Agnello: centro della nostra fede.

Gesù pronuncia parole consolatrici e rassicuranti sul essere il pastore bello, ma lo fa di fronte alle autorità dei giudei che volevano coglierlo in fallo per poterlo uccidere o almeno arrestarlo, accusandolo di bestemmia, in un clima di molta tensione. Eppure lui, pastore bello, assicura «vita eterna», vita piena, a noi che siamo paragonati alle pecore del suo gregge. Il Pastore ci difende dagli strappi o rapimenti di chi vuole solo divisione e morte: «Io do' la vita eterna, ed esse non andranno mai perdute. Nessuno le strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28). Ci chiediamo come mai ci siano persone in conflitto con la figura e il nome di Gesù. Quando lui visse, le difficoltà erano di ordine religioso, perché le autorità del tempio non potevano sopportare che quell'uomo di Galiela si autoproclamasse Messia e si facesse come Dio; nonostante la testimonianza delle sue opere. Il mistero di Dio che assume la nostra umanità non lo possiamo dare per scontato né duemila anni fa, e neppure oggi. La difficoltà di annunciare apertamente Gesù Cristo la trovarono anche Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisidia durante il loro primo viaggio missionario. «La Parola di Dio si diffondeva per tutta la regione» (At 13, 49), Ma «i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo bestemmiando» (At 13, 44) e «suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio» (At 13, 50). Se oggi parli apertamente di Gesù e ti dichiari cristiano nel tuo ambiente di lavoro, a scuola, in palestra rischi di essere ridicolizzato o bullizzato. Ma perché ci lasciamo intimorire dall'annunciare apertamente la nostra adesione a Gesù Cristo morto, sepolto e risuscitato? «Perseveriamo nella grazia di Dio» (At 13, 43b) e reagiamo ad ogni forma di resistenza alla Parola di Dio e alla nostra fede in Cristo Gesù testimoniando il nostro essere «discepoli pieni di gioia e di Spirito Santo» (At 13, 43b), in un contesto culturale in cui sembra diventato di moda vivere apparentemente bene anche senza Dio in nome della sbandierata libertà individuale! Pensiamoci in comunione con la moltitudine di cristiani presenti nel mondo! Oggi più di ieri, in varie parti del mondo molti credenti hanno avuto il coraggio di «lavare le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello» (Ap 7,14) Usiamo la nostra libertà per scegliere il mistero pasquale di Cristo come centro di tutta la nostra esistenza liberandoci dall'illusione di bastare a noi stessi. Assumiamo oggi la gioia di annunciare Gesù morto e risuscitato, l'Agnello e il Pastore, consapevoli degli ostacoli e delle resistenze che incontreremo. Dal libro dell'Apocalisse custodiamo nella mente e nel cuore lo strano accostamento, nella stessa persona di Gesù, del suo essere agnello e pastore: «l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita» (Ap, 7,17)
Si: prima di essere nostro «Pastore bello», Gesù è stato nostro «Agnello», Gesù è nostro pastore in quanto è stato nostro agnello. Prima di essere stati noi a «conoscerlo», cioè ad amarlo, è stato lui a conoscerci, ad amarci per primo (Gv 10, 17b = 1Gv 4,10.19), perché, con la sua morte di croce, ha scelto e accettato di diventare «l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29.36). Dio Padre ci ha amati per primo e a inviato il suo Figlio amato come «vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10). Siamo coinvolti in una esperienza di sofferenza e facciamo fatica a vedere Dio in tutto questo? Gesù è il nostro Agnello, ci è passato fino in fondo nell'esperienza della perdita radicale di tutto. Facciamo fatica a liberarci da forme di dipendenza? Perseveriamo in stili di vita che non ci rendono felici? La nostra vita è diventata una croce pesante da sopportare? Siamo demoralizzati dalla nostra incapacità di cambiamento o conversione? Una volta per tutte l'Agnello immolato sulla croce ci ha mostrato che apparteniamo strettamente al Padre, siamo nelle mani del Padre con la nostra dignità di figli amati, anche quando ci allontaniamo da Lui, anche quando non lo rinneghiamo e, fino all'ultimo respiro della nostra esistenza, il Padre fa di tutto per non lasciarci strappare dalla comunione con Lui. Per questo motivo Gesù, ha accettato di farsi prima di tutto Agnello immolato per noi che siamo nella prova della sofferenza e nel dramma del peccato. Siamo peccatori già perdonati per l'effusione del sangue dell' Agnello. Per essere stato Agnello, il Padre lo ha reso Pastore bello, risuscitandolo dalla morte. A noi spetta l'atto di fede, fatto in libertà, di riconoscerci assetati dell'acqua viva di questa testardaggine d'amore perseverante del Padre per ciascuno di noi, perché siamo suoi, apparteniamo a Lui, dal Padre siamo venuti, al Padre ritorniamo. Come assetarci di quest'acqua viva di misericordia e fedeltà del Padre nei nostri confronti, rivelata nella morte di croce dell'Agnello? Il Padre non ci chiede di diventare santi impeccabili, ma di affidarci al suo Figlio, credendo che Lui è stato risuscitato dalla morte ed è ora per tutti noi il Pastore bello. Il Padre ci ha consegnati tutti al Figlio suo, Pastore bello, il Risorto. Ascoltiamo dunque la voce del Risorto, mettendoci in atteggiamento orante verso il dono delle sue parole, perché solo con l'ascolto fiducioso delle parole del Cristo risorto diventiamo discepoli al seguito del Pastore bello. E Lui ci conduce alle sorgenti d'acqua viva. Che cosa sono le sorgenti d'acqua viva alle quali ci conduce l'Agnello Pastore? La risposta sta in quell' «una cosa sola»: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Quella cosa sola che unisce in profonda comunione il Padre e il Figlio è o Spirito Santo, è l'amore gratuito del Padre nel Figlio, i quali uniti, vogliono ora la comunione con ciascuno di noi e tra di noi, e questa comunione è la vita eterna che il Pastore bello, in quanto Agnello, offre a chi si affida a lui.