Omelia (18-06-2017)
don Maurizio Prandi
L'imperfezione di Dio

Celebriamo una bella festa. Bella perché (mi piace ripeterlo tutti gli anni), è legata a quanto di più umanamente nostro possa esserci: il corpo. E' la celebrazione del Corpo del Signore Gesù che questa sera portiamo in processione nel segno del pane. Un gesto di grande importanza e bellezza lasciatemi dire, perché vede coinvolti in un modo unico durante l'anno il corpo di Gesù che è l'Eucaristia e il corpo di Gesù che è la chiesa. Una comunità che porta Gesù e lo porta a chi è impossibilitato a venire in chiesa. Per questo celebriamo la messa tra case e condomini, per questo con l'Eucaristia percorriamo alcune vie delle nostre comunità.


Torna, in questa solennità del Corpus Domini l'idea del cammino. Domenica scorsa abbiamo visto che l'unica preghiera possibile per Mosè, l'unica richiesta possibile verso Dio era questa: Cammina in mezzo a noi Signore! Guardando alla prima lettura di oggi possiamo scoprirci contenti di aver bisogno: è necessaria la manna, il pane, ma è necessaria la Parola; è necessario il comando, ma è necessaria anche la Presenza. Questa è una cosa di grande importanza per chi ha una responsabilità educativa: c'è il comando, ma da parte di Dio ci sono anche la presenza e l'accompagnamento. Un Dio che non ci lascia a noi stessi!


E oggi ci viene detto che Dio ha camminato in mezzo al suo popolo, che non si è tirato indietro e che il cammino non è piano ma complesso, difficile. Ci sono ombre, prove, trasgressioni e in questa complessità che passa anche attraverso elementi negativi c'è l'esperienza del nostro camminare, del cammino di un popolo, del cammino di Dio in mezzo al suo popolo. C'è la fatica, ma c'è l'acqua, c'è la fame ma c'è la manna, c'è il deserto ma c'è anche la compagnia di Dio. Questo cammino-presenza conosce il suo apice, il suo punto più alto in Gesù che per primo, ci dice l'apostolo Paolo, si è umiliato facendo suo quel percorso di umiliazione tanto sottolineato in questa prima lettura. Fondamentale questa umiltà, perché altrimenti non si può riconoscere e ricordare quello che Dio opera nella nostra vita; non si innalzi il tuo cuore, Gesù è così, è uno che non ha innalzato il suo cuore anzi! Gli evangelisti, (scriveva don Pozzoli), sono rimasti molto colpiti quando ha detto: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore..." non ha detto di imparare a fare i miracoli, a compiere cose straordinarie, ma imparate da me la dolcezza e l'umiltà. Dolcezza che è capacità di accogliere, di essere recettivi, aperti nei confronti di tutto ciò che esiste. Umiltà che viene da una parola latina che è humus, che vuol dire terra. Bello: essere umili è essere come la terra, cioè in quell'attitudine che permette di accogliere e di lasciare che ogni seme di bontà possa germinare. Accogliere allora in noi l'Eucaristia come la terra buona accoglie il seme. Lasciarsi trasformare profondamente nel nostro modo di vivere la vita, i nostri affetti, le nostre speranze, per capire ciò che veramente conta ed è essenziale.


Un Dio che non si stanca di guidarci, di prenderci per mano, di farci percorrere strade e cammini, un Dio che ci propone il viaggio più bello, quello all'interno della sua Parola, del suo Vangelo, che diventano il pane necessario per la vita di ogni giorno. Un Dio, (e mi pare bellissimo), che vuol conoscere il cuore di ognuno di noi, un Dio innamorato che assomiglia a quegli innamorati che mettono alla prova il proprio fidanzato/a.


Questa sera sono presenti i fanciulli che hanno ricevuto la Prima Comunione e quando penso a quella celebrazione, trovo che al suo interno accada una cosa davvero molto bella: durante l'omelia si riesce, tutti insieme, a dire qualcosa di molto semplice sull'Eucaristia, rispettando così la semplicità del segno che Gesù ha scelto per dirci: Questo sono io. Una cosa che invece resta difficile è poter dire qualcosa sulla "presenza reale" di Gesù. Mi veniva in mente però che quando si fa un dono, accade qualcosa di bello e significativo: in ogni dono autentico è contenuta la persona, la presenza, l'amore del donatore. Quando doniamo qualche cosa agli amici, in realtà vogliamo donare noi stessi. E il dono è il segno che porta la nostra presenza, la nostra amicizia: è per questo che ogni anno i bimbi offrono, il giorno della loro Prima Comunione l'oggetto più caro che hanno, perché così è come se offrissero la loro propria vita. Lo stesso vale per l'Eucaristia-Dono: lì c'è Dio, in quella semplicità, in quel nutrimento, in quella povertà, in quella debolezza e fragilità, c'è Dio!


Tra poco andremo in processione e fedeli a quell'intuizione che ci guidava la terza domenica di Pasqua non porteremo un'ostia rotonda, perfetta, quasi fosse concepita dalla mente di un pitagorico, ma porteremo un'ostia spezzata, alla quale per di più manca un pezzo perché, ricordate, la perfezione del pane non sta nell'essere bello a vedersi o nell'essere cotto a puntino o nella fragranza del suo profumo appena uscito dal forno. La perfezione del pane sta nell'essere spezzato, sta nel fatto che a quel pane ne manca un pezzo perché lo hai dato a qualcuno. La perfezione di Dio non sta nel fare qualcosa di eclatante o di mirabolante per farsi riconoscere, la perfezione di Dio sta in quello che noi consideriamo imperfetto: sta nell'umiltà come dicevamo prima, sta nelle ferite, sta in un pane al quale manca un pezzo.