Omelia (18-06-2017)
padre Gian Franco Scarpitta
Pane vivo di comunione e di coesione e missione

Il pranzo è occasione per incontrarsi e concludere delle trattative o degli affari. Il convito può essere luogo di incontri diplomatici o di condivisione festosa o ancora di occasione di conoscenza e di interazione reciproca. In tutti i casi il pasto è pur sempre un'occasione di incontro nel quale i commensali si ritrovano innanzitutto come persone, quindi come consumatori di vivande. Fra tutti gli alimenti che si consumano, accanto al vino (segno di festa e di letizia in qualsiasi epoca, anche ai nostri giorni) il pane è il cibo irrinunciabile, senza il quale il pasto non è tale. Potremmo anche imbandire la tavola con grasse vivande e manicaretti succulenti e ricche portate, ma quando dovesse mancare il pane ci si premura sempre di procurarsene almeno nella misura sufficiente per ciascuno, girando per ogni dove, perché nessun pranzo o cena può essere consumata senza questo alimento fondamentale. Il pane è altresì l'alimento per il quale si lotta e si suda, il primo elemento sostanziale per la vita, al quale si pensa per prima cosa in nefaste circostanze di fame e di abbandono. E' un alimento che al supermercato non ha un prezzo tanto elevato, almeno in rapporto agli altri alimenti: ne si può sempre acquistare almeno un pezzo. Eppure è l'alimento al quale si aspira maggiormente. In sintesi, il pane è il cibo che ha sempre creato comunione.
Anche questo è il motivo per cui Gesù si autodefinisce "pane vivo disceso dal Cielo", alimento per la vita e farmaco d'immortalità. E invita i discepoli a "mangiare la sua carne e bere il suo sangue", anche nel senso crudo e diretto del termine. Gesù auspica che sempre e in ogni caso noi ci nutriamo (Gv 6) del "pane vivo" che è lui. Consumando di questo pane (il suo Corpo) si godrà sempre della sua presenza reale e sostanziale che si protrae nel tempo e si entra in comunione con Dio e con i coloro con i quali condividiamo la mensa. Tutto questo avviene a partire dalla famosa sera in cui Gesù raccolse i suoi discepoli a Gerusalemme, in una stanza ubicata al piano superiore, appositamente arredata. In essa, a parere dei vangeli sinottici, si consumava la Cena pasquale ebraica prescritta, secondo l'evangelista Giovanni si consumava invece una cena nell'antivigilia della Pasqua (Ratzinger) durante la quale Gesù donava se stesso dimostrando ciò che di li a poco gli sarebbe capitato, ovverossia il sacrificio di se stesso sul legno della croce. Egli spezza il pane, e con tale gesto realizza anche la "ripartizione" di se stesso ai suoi discepoli, nel senso che egli in qualche modo "spezza" se stesso per offrirsi ai suoi come un dono straordinario e irripetibile (Ratzinger). Poi afferma "Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo" e al termine del pasto, preso fra le mani il calice, soggiunge: "Questo calice è il mio Sangue, dato per voi"
Con le espressioni "Questo è il mio Corpo", "questo è il mio Sangue dato per voi" Gesù realizza la sua presenza effettiva, certa, reale e sostanziale in mezzo ai suoi, avvalorata dalla promessa "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" e avallata anche dalla frase conclusiva: "Fate questo in memoria di me", con la quale Gesù espressamente chiede che tale atto sacrificale eucaristico venga perpetuato nel tempo. Finché egli non tornerà all'epilogo della storia, saremo sempre invitati a nutrirci del suo Corpo e ad usufruire della sua presenza viva ed efficace seppure silente e umilmente dimessa. Nell'Eucarestia la presenza è anche ripresentazione dell'unico sacrificio che oltre duemila anni or sono si realizzò sul luogo detto Cranio, con la medesima efficacia di salvezza e con la stessa universalità e infinità per tutti. Agli apostoli e ai loro successori è dato mandato di protrarre nel tempo questa sua presenza mediante l'esercizio ministeriale coadiuvato dai presbiteri. Cosicché nella celebrazione eucaristica, che è l'espressione della centralità della vita cristiana nella comunità radunata dallo Spirito attorno alla mensa del Corpo e del Sangue, noi facciamo tesoro di questa presenza misteriosa e ineffabile; assumendo le specie eucaristiche entriamo in comunione con il Padre mediante lo stesso Cristo Pane di vita e realizziamo al contempo la comunione anche fra di noi. Nel mangiare il Corpo del Signore secondo le sue indicazioni, nel nutrirci del suo alimento sacramentale eucaristico, come prima si diceva si trova l'occasione dell'incontro, del dialogo e della comunione in primo luogo con Dio Padre al quale Cristo, presenza reale eucaristica, ci conduce nello Spirito Santo: l'Eucarestia è infatti l'incontro e l'intimità con l'Assoluto che diventa relativo in una forma di pane, con l'universale infinito la cui finitezza è preferenziale nel farsi nostro cibo, con il Tutto che entra in un frammento di Ostia consacrata. Il nutrimento del pane e del vino è però esteso anche ai fratelli in compagnia dei quali viene consumato e si estende a tutti gli altri nella vita sociale quotidiana. Il Cristo presente che noi assumiamo in questo nutrimento non deve ridursi a un dono geloso ma a un privilegio condiviso. Scrive a tal proposito Ratzinger: "L'Eucarestia è al contempo il visibile processo del riunirsi, un processo che nel luogo e attraverso tutti i luoghi è un entrare in comunione col Dio vivente, che dall'interno avvicina gli uomini gli uni agli altri." Lo stesso Cristo pane vivo disceso dal cielo donandosi a noi come alimento realizza l'unità fra noi e il Padre e fra di noi gli uni gli altri, il che fonda effettivamente la Chiesa. Se il pane è l'alimento indispensabile che tutti riunisce e a tutti dona la propria ragion d'essere, il pane che è Gesù nel suo vero Corpo fonda la comunione e l'unità a partire dal dono di ciascuno di noi. Nell'Eucarestia la comunità ecclesiale e la Chiesa Universale trovano lo slancio e la motivazione fondamentale del loro essere e del loro agire. Perché la Chiesa scaturisce proprio dal Corpo di Cristo, essa è per il Signore e agisce per tutti gli uomini.