Omelia (25-09-2016)
padre Gian Franco Scarpitta
Guai ai ricchi, beati voi poveri

«Guai ai ricchi che ora ridono nella loro sazietà, beati i poveri che ora piangono e hanno fame» (Luca 6, 20ss) è un ammonimento inserito nel capitolo in cui Luca espone le Beatitudini e le corrispondenti condanne (guai) che ad esse sono in antitesi. Esso riprova la falsa sicurezza di chi si agghinda di vanità e di ricchezze vacue, specialmente quando accanto a lui vi è chi è costretto l'inopia assoluta e la miseria e contiene anche una promessa: un giorno o l'altro le parti si invertiranno e il povero sarà innalzato e godrà di gloria e di pace nella misura in cui il ricco lo aveva costretto a soccombere alla fame. Ciò avverrà alla fine della nostra esperienza terrena, quando ci attenderà un giudizio che, commisto di giustizia e di misericordia, costerà l'inferno ai malvagi e agli indifferenti e il paradiso ai poveri, reietti eppure fedeli a Dio. Sebbene infatti assai raramente si è soliti prendere simili argomenti, occorre che consideriamo l'esistenza inevitabile di una dimensione finale di terna dannazione (l'inferno), più volte rappresentato da Gesù con immagini vivaci ed espressive quali la Geenna o il "pianto e lo stridore di denti", allusivo all'eterna condanna per chi avrà rifiutato la misericordia di Dio e avrà voluto vivere secondo la subdola passionalità del peccato. Una dimensione di eterna sofferenza spesso rappresentata anche dall'immagine del "fuoco" o delle "fiamme", che consiste tuttavia nell'eterna lontananza da quel Dio di cui in vita si credeva di poter fare a meno e che adesso risulterà invece indispensabile eppure ormai irraggiungibile. Chi ostinatamente rigetta l'amore di Dio con il peccato, firma la propria autocondanna all'inferno. E in questa pagina Gesù sembra delineare che tale procurata autocondanna raggiungerà in particolar modo coloro che, nel loro sfrenato egoismo, arroganti e pervasi da cupidigia e presunta potenza si rivolgono con aristocratica distanza a coloro che soffrono la fame, l'indigenza e l'abbandono. Il "ricco" propriamente detto è infatti non già chi possiede proprietà e tesori, ma chi ripone estrema sicurezza nelle proprie sostanze lesinando ad aprire il cuore alle necessità del bisognoso, soprattutto quando questi si trova a distanza ravvicinata da lui. Il "ricco" si fa forte delle proprie sicurezze materiali per assumere sempre più potere sugli altri e per oltraggiare i poveri e i bisognosi, verso i quali mostra assoluta distanza e indifferenza. Il "ricco" è colui presso il quale il povero è costretto a mendicare tante volte senza esito, colui al quale il povero chiede ottenendo al massimo le "briciole", cioè il superfluo e l'innecessario.
Il profeta Amos di cui alla prima lettura condanna lo sfarzo e la sfrontatezza dei consumi, l'eccessiva ricercatezza e la vanità dei letti d'avorio (6, 2), divani damascati, residenze e sale lussuose (cap. 3), soprattutto quando queste siano scaturite da guadagni e traffici illeciti. Il profeta condanna gli abusi e le ingiustizie sociali ai danni dei più deboli e le discriminazioni in fatto di ricchezza e di povertà economica che colpiscono specialmente le classi meno abbienti. I successi commerciali dei potenti a discapito delle classi sociali medio basse; la ricchezza smodata di capitalisti a danno dei proletari sottopagati e spesso privati anche del loro salario, il divario fra il nord e il sud del mondo nel quale le grandi potenze nazionali si arricchiscono sulla pelle di interi popoli smunti ed emaciati dalla fame; in linea generale le ingiustizie dei ricchi ai danni dei più poveri sono fenomeni che rappresentano una piaga anche ai nostri giorni. E ribadiscono anche l'attualità della parabola lucana del "ricco epulone". Gesù però invita a coltivare la speranza che determinate situazioni di ingiustizia e di prevaricazione dovranno avere pur fine. Il giudizio di Dio esalterà quanti sono stati costretti a subire le altrui prepotenze e malvagità, ma anche nel percorso stesso della vita presente avverrà che l'arma con cui gli ingiusti avranno colpito i più deboli diventerà lo strumento della loro autocondanna. La concupiscienza del guadagno e l'esasperata voglia di potere e di predominio rappresentano già esse stesse la ragione della tristezza fondamentale di chi ne è schiavo, perché illudono di sicurezze in realtà inesistenti e allontanano dalla vera realizzazione. La ricchezza sproporzionata è essa stessa una condanna, un'anticamera dell'inferno perché non può che arrecare infelicità e illusione di vivere. La logica di Dio comunque è davvero distante dai pensieri dell'uomo e in questo caso promette un capovolgimento a vantaggio dei più reietti e deprezzati. Dio "rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili"(Lc 1, 52) concedendo a questi ultimi quella giustizia che non è di questo mondo e ai primi la condanna presente che è pegno di quella futura.