Omelia (21-08-2016)
don Luciano Cantini
La porta di servizio

Quelli che si salvano

Ci sarebbe da domandarci che cosa significhi "oggi" la salvezza. Salvezza da cosa o da chi, per quale prospettiva. Non ci fa meraviglia che si parli di salvezza di una squadra di calcio che corre il rischio di retrocessione; ognuno percepisce in modo diverso il bisogno di salvezza in base alla propria situazione: salute, lavoro, disagio sociale. Sappiamo bene che per quanto i problemi della vita siano totalizzanti del pensiero e della azione la loro soluzione rimane una salvezza parziale. Ogni religione invece si pone come prospettiva la salvezza totale dell'uomo, dunque c'è una aspirazione universale alla salvezza se pur con connotazioni, e visioni anche molto diverse tra loro, e soprattutto modi diversi per ottenerla. C'è poi da domandarci se quella salvezza sia una conquista dell'uomo o un dono di Dio. Certo è che ogni piccola salvezza, ogni aspirazione parziale è sempre segno di quella vocazione universale alla Salvezza.


Sono pochi

La domanda di quel tale suona come preoccupazione, una esclusione dalla salvezza; Gesù non pare rassicurante: ai pochi contrappone i molti che la cercano; un fatto è certo: il Signore esclude qualsiasi via facile.
L'immagine che ci regala è quella della porta stretta, non il portone del palazzo che riempie la facciata, ma la porticina di servizio, quella che è nascosta sul retro della costruzione. L'immagine della moltitudine che cerca di entrare fa immaginare una specie di ingorgo che si crea nel traffico alla presenza di una strettoia come quando gli automobilisti frettolosi superano la fila per tentare di passare prima e rimangono ingolfati, passa solo chi ha la pazienza e la costanza di aspettare il proprio turno. Uno alla volta. Stare in fila non è solo questione di tempo e di pazienza ma anche di fiducia l'uno con l'altro, avere la delicatezza di far passare chi più ha bisogno, non considerarsi proprietari del turno conquistato come i numerini salvafila negli uffici o nei negozi. La dimensione è talmente altra che all'improvviso ci si trova dentro senza neppure accorgersi di aver superato la porta.


Abbiamo mangiato e bevuto

Chi è rimasto fuori reclama di aver mangiato e bevuto in tua presenza; c'è una sottigliezza che a noi può sfuggire, nessuno dice di aver condiviso lo stesso piatto come era uso mangiando insieme, si afferma quasi una comunione apparente, una forma più che una sostanza. Se noi traslassimo l'immagine del mangiare e bere all'Eucarestia ci sarebbe da domandarci quanto la ritualità ha preso il sopravvento sulla Comunione: condividere la Parola, lo stesso progetto, il medesimo servizio, l'identico amore che ha condotto il Signore sulla croce. A volte abbiamo l'impressione di una via facile, che una certa frequentazione, la recita di preghiere, la partecipazione ai riti spalanchi il portone d'ingresso, ma non è così; saremo cacciati fuori. Non è quella della facciata che conta, ma la porta stretta che sta sul retro, poco visibile che è sempre aperta all'impegno personale, al sacrificio, al perdono, alla misericordia, alla comunione, alla fatica dell'amore.


Verranno

Verranno dai quattro angoli del mondo per sedere a mensa nel regno di Dio. Ci dovremo meravigliare quando vedremo quelli che oggi bussano alla nostra porta e trovano il filo spinato o un cordone di polizia seduti alla tavola del Regno? Quelli che lavano i vetri ai semafori, o le nostre badanti, o gli sfruttati con il lavoro nero? Gli ultimi del nostro mondo già ci stanno precedendo, coloro che sanno bene cosa significhi passare dalla porta di servizio troveranno presto la strada, non avranno difficoltà a passare dalla porta stretta che hanno attraversato per tutta la vita. Dovremo imparare da loro, assumerli come maestri di vita, come esempio: Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio (Lc 6,20).