Omelia (07-08-2016)
padre Gian Franco Scarpitta
La vera ricchezza dipende dal cuore

Si prosegue nella riflessione sulla vanità delle ricchezze spropositate e finalizzate ad egoistici interessi e si continua a considerare come l'uomo si autodistrugge nella continua persecuzione di ciò che è effimero e transitorio. A cosa serve possedere anche tutte le sostanze di questa terra, quando la vita stessa non dipende da noi? Quando perfino i capelli del nostro capo sono contati e di ogni cosa in realtà si dispone perché la si è ricevuta e ce n'è stato fatto dono? Dalla lettura delle pagine della Bibbia è certo che il denaro, considerato come fine ultimo e obiettivo spropositato oltre misura, non soltanto rende l'uomo deprezzabile allontanandolo dalla società, ma diventa strumento di distruzione e di autolesionismo. E oltretutto, quando ci si illude che i beni materiali siano garanti di felicità e di sicurezza, immancabilmente si scopre che essi sono causa di depressione, angoscia e smarrimento e ottenebrano l'uomo e la sua libertà. Anche la comune esperienza dell'uomo suggerisce che la felicità non risiede nel possesso, nei beni ci consumo e nella sicurezza del guadagno, ma va cercata in qualcosa che prescinda dalla materia e dalla contingenza e che valichi le "colonne d'Ercole" che spesso ci si precostituisce. Seneca a ragione sentenziava: "Che cosa misera è l'umanità, se non si sa elevare oltre l'umano", se non sa cogliere la vita piena al di là delle precarietà e delle prigioni che spesso e volentieri si costruisce in questo mondo. E in effetti la felicità non è di questo mondo, se per mondo si intende la materia e il legame alle false certezze; essa risiede semplicemente in noi stessi e nelle risorse che ci contraddistinguono, nella continua valorizzazione dello spirito e nella personale prerogativa di grandezza. Ciò che noi cerchiamo per ogni dove risiede dentro di noi e "andare oltre l'umano" per cercare la felicità è procacciare ciò che non è effimero. Così in fin dei conti insegna Gesù nel vangelo di oggi: "Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore." Nell'interpretazione esatta la frase vuol dire che accogliere e accumulare la vera ricchezza è cosa che riguarda semplicemente la nostra buona disposizione: dipende dalle scelte che noi "di cuore" operiamo. Se il cuore è precluso e gonfio di orgoglio, non otterrà alcun tesoro ma accumulerà soltanto debiti; se esso è libero, generoso, aperto allora sarà in grado di ricevere e depositare le vere sicurezze dell'uomo, il vero patrimonio di ricchezza. Dipende quindi dal cuore, cioè da noi stessi conseguire il vero tesoro che non si consuma e che nulla può deteriorare.
In che cosa consiste questo tesoro? Gesù ci da' una risposta immediata nelle prime affermazioni del vangelo odierno: "il tesoro sicuro nei cieli", cioè l'approvazione e la benevolenza di Dio che è dato solo a quel "piccolo gregge" che è capace di un cuore aperto e incondizionatamente generoso. L'amore di Dio, la sua predilezione e la sua approvazione costituiscono in realtà la vera ricchezza, che si concretizza in una sola parola: il Regno di Dio. Ma per ottenere questa occorre liberarsi da tutte le certezze materiali caduche e passeggere. Ciò che infatti occlude l'apertura del cuore è appunto la falsa ricchezza e la spregiudicata corsa al potere e il fascino dei beni di questo mondo. La concupiscienza e la passionalità, la foga di arrivismo e al conseguimento di in necessari traguardi economici, la cupidigia già condannata nella domenica precedente, tutto questo si oppone ad un cuore generoso a proclive alla libertà. Occorre che il cuore prevalga sull'istinto e segua altre ragioni orientando anzi la ragione stessa secondo giusti criteri per cogliere l'importanza e l'efficacia di cui è capace la vera ricchezza "del cielo", il tesoro dell'amore di Dio che non conosce corruzione e non arrugginisce, perché chi ama non passerà mai (1Cor 13).
La dinamica del Regno di Dio, il vero tesoro, è infatti quella dell'amore, che scaturisce da Dio e che il cuore umano ha fatto suo. Essa ci illumina sul nostro vero obiettivo, che è la comunione con Dio nella vita presente nell'aspettativa del futuro avvento del Regno e ci educa anche quanto ai beni materiali: essi hanno la loro importanza quanto basta al fabbisogno e alla dignità personale di ciascuno, ma c'è molta più gioia nel dare che nel ricevere (At 20, 35) e le cose di cui possiamo fare a meno ci giovano di più di quelle che sono oggetto di smodato desiderio. Il vero tesoro inestinguibile risiede nella soddisfazione provate nel dare, nell'utilità comprovata nel farci "prossimi" agli altri, nel beneficio che arrecano a noi stessi il servizio, la generosità e la condivisione molto più che la prevaricazione e l'egoismo. Nella felicità che ci consegue l'amore operoso e identificativo di noi stessi e del nostro rapporto con Dio. Una sola opera di misericordia, scevra da ostentazioni e falso orgoglio, ottiene il premio di Dio e allo stesso tempo contribuisce ad edificare il mondo intero, come soleva dire anche Shakespeare: "Come arrivano lontano i raggi di una piccola candela, così splende una buona azione in un mondo malvagio."
Come prima si sottolineava, per entrare nella logica del Regno e dell'amore, occorre dischiudere il cuore alla verità e abbandonare le false sicurezze, abbattere le catene di schiavitù con cui il vizio e la cupidigia ci avvinghiano e ci sottomettono. Ma è necessario anche vigilare su noi stessi, stare guardinghi e circospetti per non cedere alle possibili seduzioni e alle sevizie del loro fascino. Nel mondo della propaganda, che presenta come valori il consumismo, il guadagno, la lussuria e lo sperpero improprio, occorre guardarsi bene da tutte quelle allettanti proposte che distolgono dalla vera felicità, e soprattutto dal "tesoro" che di essa è matrice. Occorre prendere le distanze e non lasciarsi abbindolare dalla mentalità di questo secolo perverso che propaga l'egoismo, la voluttà e l'edonismo quali veri valori del nostro tempo e da ogni logica che legittima l'attaccamento al denaro, che è la radice di tutti i mali (1Tm 6, 10). E' indispensabile essere poveri a prescindere da ciò che possediamo, poco o tanto che sia. La vigilanza è una lotta serrata perché la tentazione è continua e perché c'è anche chi propaga l'idea che sia umano e costruttivo cedere alla tentazione; la lotta contro le avversità e le seduzioni non si esaurirà fin quando il padrone della Messe non farà ritorno nel giorno ignoto del Giudizio Universale, quando darà la sua ricompensa ai perseveranti nel bene lasciando cadere nel baratro i lavativi e i neghittosi. Noi procediamo nella speranza di questo avvento finale di giustizia assoluta e definitiva, ma intanto sperimentiamo la succitata approvazione di Dio nell'esercizio della fedeltà assoluta e il guadagno del Signore è già la vera ricchezza conseguita.