Omelia (20-03-2016)
padre Gian Franco Scarpitta
Vittima innocente

Condannare a morte un colpevole spettava alle autorità romane che rappresentavano l'imperatore; Queste provvedevano al processo del reo e quando vi fossero prove evidenti della sua colpevolezza potevano emettere la sentenza capitale. Non però quando non trovassero colpa alcuna nell'imputato. In caso non vi fossero prove di reato passabile di condanna quali l'assassinio, la cospirazione o l'insurrezione contro il potere, si era tenuti a rilasciare l'imputato. Questo sta capitando adesso a Gesù: potrebbe salvarsi e avrebbe valide ragioni per ritenere illegale la sua condanna. Ponzio Pilato non dovrebbe cedere alle invettive della folla, ma dovrebbe con coraggio e disinvoltura far liberare Gesù senza neppure consultare la turba di popolo che ha di fronte, adempiendo così al suo dovere di scagionare gli innocenti (secondo Roma) e infliggere punizioni ai colpevoli. Mette perfino in libertà un assassino per mettere a morte un imputato che egli stesso reputa innocente. Da aggiungersi poi che probabilmente il processo a Gesù non avveniva in piena legalità, se stiamo alla versione di Giovanni intorno all'arresto e alla condanna di Gesù. Il quarto evangelista infatti nota che Gesù viene catturato in piena notte e durante la notte viene condotto da Anna e Caifa per un'istruttoria informale veloce, quando invece i processi per le pene capitali andavano celebrati di giorno e nella sala consiliare del Sinedrio. Non di notte, Anche l'evangelista Luca lascia intendere per vie traverse che l'interrogatorio di Gesù non è abbastanza chiaro e convincente poiché viene celebrato "appena fece giorno". Quindi in seguito a una precedente interrogatorio informale. In definitiva Gesù poteva legittimamente salvarsi già dal solo punto di vista legale oltre che in forza del suo essere Figlio di Dio, forse come anche Socrate, 399 anni prima, avrebbe potuto salvarsi dalla cicuta. Ma se non avesse affrontato lo strazio della morte di croce, se si fosse difeso o avesse avanzato pretese di proscioglimento, non avrebbe potuto realizzare quello che era l'indispensabile progetto di amore a vantaggio dell'umanità. Non sarebbe morto sulla croce per la resurrezione e per la gloria e di conseguenza non avrebbe potuto salvare l'umanità dal pungiglione della morte che è il peccato (1Cor 15, 54) Era necessario allora che affrontasse, sia pure ingiustamente, la condanna. E nonostante Pietro avesse tentanto di scongiurarlo, era necessario e indispensabile che egli giungesse a Gerusalemme, ben conscio che quella sarebbe stata la città nella quale andava in bocca ai leoni. Ora vi entra con assoluta naturalezza, acclamato dal popolo che gli fa ala tutt'intorno e che gli usa riverenza lanciando palme e rametti d'ulivo e distendendo i mantelli man mano che egli incede per le vie del centro. Viene osannato dalla turba di popolo che lo riconosce Messia e Re e gli riserva un'accoglienza degna dei grandi mentre lui, come previsto dal profeta Zaccaria, entra in città sul dorso di un puledro figlio d'asina (Zac 9, 9). All'esultanza subentra però l'angoscia e la sofferenza perché appunto sempre verso un patibolo il re dei Giudei è destinato ad andare, carico del legno e fino ad un certo punto possono recare conforto le grandi ovazioni della folla. Il trionfo di Gesù, esaltato da palme e rami di ulivo, si trasformerà presto in paura e angoscia, quando dovrà affrontare il supplizio estremo del patibolo. Per la qual cosa Gesù è l'uomo della gloria e dell'esultanza, il Re universalmente riconosciuto, ma è anche la vittima di espiazione, il capro espiatorio, l'agnello votato al macello (Cfr. Is 52 - 53). Il Dio della gloria diventerà il simbolo del disprezzo e della vergogna e si farà per noi maledizione. In tutto questo risiede la grandezza di Dio Misericordia: il farsi piccolo pur essendo grande, il rendersi maledizione nonostante sia all'origine di ogni benedizione,, l'apparire criminale e reietto, nonostante la sua comprovata innocenza. Mostrando nella debolezza la sua vera forza. Come dice Giovanni: "IIn questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Non soltanto per i nostri, ma per quelli del mondo intero. E per rendere manifesto l'amore, Gesù fa ingresso a Gerusalemme vittima innocente che paga per tutti.