Omelia (10-11-2002)
Paolo Curtaz
Lampade accese per lo sposo

Siamo ormai alla fine del nostro cammino in compagnia del pubblicano Levi.

Da buono scriba che sa tirar fuori cose nuove e cose antiche dal suo scrigno, ci ha svelato il volto del Signore Gesù Maestro, nuovo Mosé, in questo anno che volge al termine. Sempre, alla fine del tempo liturgico, siamo chiamati a volgere lo sguardo sulla fine dei tempi, su quel finale della Storia che poco ci interessa e che pure è al cuore della fede cristiana.

Tre sono le venute del Signore Gesù: nella storia - e lo riviviamo continuamente - nel nostro cuore - ed è l'esperienza di fede cui ognuno e chiamato - e nella gloria, alla fine dei tempi, quando il Signore verrà per completare il Regno... oggi Matteo ci propone la parabola con le dieci vergini che aspettano: ce l'immaginiamo l'attesa di queste ragazze, intuiamo la scena: le fiaccole accese, l'eccitazione dell'evento, lo sposo che tarda... Così è la nostra vita di fede: non fatta soltanto di momenti "su" ma, anche, appesantita dal sonno, dal Signore che tarda a manifestarsi.

Una vita di fede fatta di alti e bassi è ciò che tutti ci caratterizza. E ci inquieta. Il rischio è quello di addormentarsi in attesa del ritorno del Maestro. Qualcuno mi dirà: "Addormentarsi? Lavoro come un pazzo, non riesco a trovare un minuto per me, altro che addormentarsi!" Appunto: l'anestesia generale di questo nostro tempo è proprio l'ingombro mentale che subiamo e a cui bisogna reagire per conservare la fede... Eppure, pare dire il Signore in questa parabola, è tutto nella norma, non dobbiamo spaventarci; può succedere di assopirsi mentre si aspetta lo sposo, l'importante è che la lampada sia accesa.

Difficile a interpretare questa lampada e quest'olio che viene a mancare. Diverse le interpretazioni che troverete: la lampada - in genere - viene legata alla fede, anche nel sonno la lampada brucia. Così ci ricordiamo della candela che è stata consegnata ai nostri genitori, dopo essere stata accesa al cero pasquale. Che bella immagine! Una piccola fiammella in una grande stanza buia, l'avrete notato, rompe le tenebre più fitte.

Che ne è della fiamma del nostro cuore? Non importa che sia un enorme cero artistico o un falò possente oppure una piccola tremula fiammella. L'essenziale è che siamo accesi. E per restare accesi, ci dice il Signore, occorre l'olio che alimenta la fiamma. Avrete tutti notato la durezza della risposte della ragazze sagge che rifiutano di condividere il proprio olio con le altre. E' uno stridore enorme nel Vangelo questa durezza! Addirittura lo sposo si rifiuta di accogliere queste ultime ragazze "sciocche".

Cos'è quest'olio? Credo sia l'amore. L'amore che è personale, indivisibile, non comunicabile. Posso avere il cuore traboccante d'amore senza riuscire a travasarlo nel cuore freddo e indurito di un amico. Sì, amici, ciò che alimenta la fede, la fiaccola della fede, è l'amore per il Signore Gesù. A questo amore, alla memoria di quanto siamo amati e di quanto amiamo il Signore, dobbiamo continuamente attingere la nostra fede. nei momenti "giù", di attesa, di notte, di assopimento, siamo invitati a lasciarci amare, come si diceva qualche domenica fa. Ormai tutte le iniziative pastorali delle parrocchie e della Diocesi sono iniziate.

Che bello sarebbe attingere a queste pagine di Vangelo lo stile di inizio delle nostre attività pastorali, dai catechismi agli incontri Diocesani. Ridare a chi partecipa alle nostre assemblee, alle nostre comunità, la percezione della festa, dello sposo che viene, dell'attesa simpatica del Signore. Come potranno i bambini della nostra comunità percepire che la fede è festa se non facciamo festa con loro? Se non investiamo tempo e risorse nel gioco?

Come potremo comunicare agli adulti della nostra comunità la trepidazione dell'attesa se incontrano negli operatori pastorali e in noi preti tensioni, scoraggiamento, ripetitività? Spazio alla gioia, amici! Che le nostre comunità diventino sempre di più il luogo della lampada accesa, delle nozze celebrate, dell'attesa dello sposo che viene.