Omelia (14-02-2016)
padre Gian Franco Scarpitta
Di fronte alla prova e alla tentazione

Di Sant'Antonio Abate, precursore del monachesimo cristiano in Oriente, San Atanasio scrive che visse nel deserto dove menava vita solitaria, ma proprio fra le asperità del luogo e nella lontananza dal contatto con la gente, subiva le provocazioni e le vessazioni del demonio. I santi anacoreti come lui ci confermano che proprio la vita eremitica e ascetica è la dimensione nella quale si può essere facilmente preda delle tentazioni, perché proprio la solitudine e l'abbandono sono il terreno fertile del Tentatore, che in queste situazioni approfitta della debolezza e dell'apatia del soggetto per poterlo trarre in inganno con sottili conclusioni. Anche per mia esperienza personale posso affermare che i prolungati tempi di assoluta contemplazione, meditazione e intensa preghiera, durante quali le attività sono ridotte al minimo, si è non di rado sorpresi dal dubbio e dalla perplessità: la scelta di consacrazione esclusiva al Signore è davvero quella più appropriata? "Non potrei essere più utile altrove, non sto sprecando il mio tempo, la mia vita, i miei talenti mentre potrei meglio adoperarmi in altri contesti di vita professionale, che peraltro mi darebbero tante garanzie, mentre la vita religiosa mi costringe a sottostare a continue norme e restrizioni.?" "Forse dovrei scegliere diversamente il mio orientamento? Tutti coloro che si danno alla consacrazione a Dio vengono non di rado sorpresi da nefasti pensieri che costituiscono una vera e propria tentazione alla fuga e all'abbandono e queste non possono essere interpretate se non come insidie del malvagio Avversario. Questi coglie sempre il momento a lui opportuno (la debolezza, il dubbio e la negligenza) per mietere le proprie vittime, come leone ruggente che va in giro cercando chi divorare (1Pt 5, 8 - 9). Oltretutto, come afferma la Scrittura "Figlio, se servi il Signore, preparati alla tentazione"(Sir 2, 1). Le tentazioni sono necessarie per guadagnare la virtù e per costruire se stessi attraverso il combattimento spirituale, per conseguire gli obiettivi della perfezione, che senza la lotta sarebbero fin troppo facili. Non per niente Sant'Agostino, anche a rapporto con le sue imperfezioni personali, una volta esclamò: "Signore, rendimi casto, ma non subito." Intendeva chiedere a Dio di aver pazienza con lui per le sue debolezze e intanto lui avrebbe lottato strenuamente contro la propria concupiscienza, si sarebbe impegnato a guadagnare l'obiettivo della perfezione con i mezzi della grazia e della volontà. A volte potrebbe sembrare che Dio stesso abbandoni l'uomo alla tentazione, come nel caso di Ezechia, che il "Signore abbandonò a se stesso per metterlo alla prova e per vedere com'era veramente"( 2 Cronache 32,31); neppure va trascurata in tal senso la terribile prova di fedeltà che Dio chiese ad Abramo a proposito del sacrificio (poi non compiuto) del suo figlio Isacco,, ma Dio nelle prove e nelle tentazioni non priva mai nessuno dei necessari strumenti di grazia e della Sue personale compagnia e assistenza. Insomma, le tentazioni in un modo o nell'altro ci saranno sempre, anche se Dio non le vuole egli stesso e anche se siamo da lui assistiti nella lotta.
La consapevolezza che esse sono nel computo della vita spirituale e che nessuno è esente da insidie maligne deve incoraggiare la vigilanza e la determinazione nel restare saldi per non cadere. I rimedi sono quelli che gli stessi padri deserto, accanto ai saggi della patristica e della vita ecclesiale, suggerivano con insistenza: la preghiera, la mortificazione corporale e il contatto assiduo con la Parola di Dio nella meditazione. La mortificazione dei sensi e la fuga dalle vanità, l'autodisciplina sono anch'esse un coefficiente utile per accrescere l'umiltà e di conseguenza per radicarsi sempre più ne Signore. Quando ci si presentino lusinghe e provocazioni esteriori, ci troviamo effettivamente di fronte a ciò che è piacevole e invitante, ma occorre domandarsi, sempre nello spirito della preghiera e dell'umiltà, se si tratta di cose lecite e oggettivamente costruttive. In altre parole, se ciò che è piacevole è anche lecito.
Le tentazioni in ogni caso non sono mai sproporzionate alle nostre possibilità: come afferma un certo detto: "Dio manda il freddo secondo i panni". Non è certamente lui l'artefice di ogni prova o tentazione, quanto piuttosto il maligno che sfrutta la nostra concupiscienza ed eventualmente anche la nostra negligenza e inerzia; ciononostante il Signore fornisce tutti gli strumenti e le forze affinché essa venga felicemente superata.
Una certa mentalità edonistica anche dei nostri giorni, presente in tanti autori e personaggi autorevoli della letteratura, afferma che la migliore soluzione di fronte alle tentazioni è quella di acconsentirvi; addirittura vi è chi proclama, con ostentato sarcasmo "Chi è senza peccato, rimedi", concludendo addirittura che resistere a prove sarebbe sinonimo di auto deprezzamento, mancato amore verso se stessi e perdita di utilissime occasioni. Una morale facile del sovvertimento e del puro relativismo, che in realtà schiavizza l'uomo anziché elevarlo alla sua vera dignità di padrone dei propri istinti e di tutto ciò che lo circonda. Le prove e le tentazioni contro se stessi e contro il prossimo vanno invece interpretate nell'ottica della fede in un Dio trascendente che è la verità assoluta, nella quale orientare il nostro atteggiamento e impostare la nostra condotta. Vanno interpretate come un invito alla lotta per l'autodisciplina e allo stesso tempo come la possibilità dell'autorealizzazione e della felicità quando ad esse si è capaci di resistere.
Nell'esperienza personale di Gesù, la tentazione deriva addirittura dall'iniziativa primaria dello Spirito Santo, che, dopo averlo istituito Figlio di Dio mentre fuoriusciva dalle acque del Giordano, lo conduce nel deserto "per essere tentato dal diavolo." Nel tempo e nel luogo dell'assenza, della carenza assoluta di mezzi e di risorse nel quale tutto si toglie e nulla viene garantito, appunto il deserto, Gesù è esposto alle insinuanti proposte di Satana, che corromperebbero con successo qualsiasi animo turbato e sconsolato.
Le proposte del diavolo sono allettanti e a volte anche legittime, considerando l'incontrastata signoria di Gesù e la sua identità con il Padre, eppure egli affronta ogni sfida con determinazione e risolutezza contrastando ogni affermazione del diavolo con la medesima Scrittura, interpretata rettamente secondo la volontà reale di Dio. All'ultimo tentativo di corruzione demoniaca, secondo la versione che di questo episodio fa Matteo (4, 1 - 11) il Signore ribatte: "Vattene Satana!" Non perché il diavolo lo stia importunando alla stregua di uno scocciatore abituale dei nostri tempi, ma per insinuare l'impotenza effettiva del demonio di fronte alla Parola di Dio: nulla può il maligno di fronte alla Scrittura che è la Parola eterna di salvezza del Padre, che non conosce contraddizioni e smentite. Gesù si fa vero modello dell'uomo sottomesso e umiliato di fronte a quella che è la possibilità di cadere alle provocazioni esteriori e allo stesso tempo ci da la certezza che di fronte alle tentazioni si può vincere. Dai vizi e dalle riprovevoli abitudini si può uscire, per esempio sostituendo a queste delle abitudini soggettivamente buone e sane, non senza l'aiuto dei mezzi di grazia.