Omelia (27-10-2002)
don Fulvio Bertellini
Messi alla prova

Il ronzare delle mosche

Ancora una volta, vediamo Gesù messo alla prova da un pubblico non particolarmente favorevole. Questo solo dettaglio dovrebbe già da solo farci riflettere. Come cristiani, e come Chiesa, ci lamentiamo spesso di essere bersagliati e fraintesi. Giornali e TV che parlano solo di preti pedofili, di cardinali oscurantisti, di una Chiesa retrograda e non al passo con i tempi; giornalisti che riducono i discorsi del Papa alle due-tre frasi di sapore politico o di morale sessuale; le piccole ostilità e derisioni che si possono incontrare sul lavoro e nella vita sociale quotidiana. Dovremmo preoccuparci se questo non avvenisse. Gesù non ci ha garantito il successo, ma ci ha garantito la persecuzione. E la nostra attuale persecuzione, non esaltante, non eroica, fastidiosa come uno sciame di mosche, è il fatto che la nostra fede viene messa alla prova. Invece di lamentarci piagnucolosamente, lasciamoci guidare da Gesù per vedere come reagire.

Riuniti insieme

Gesù sta in mezzo ai farisei, tra i quali i dottori della legge. La nostra memoria ci porta ad identificare in maniera ostile i farisei, come i "nemici di Gesù". Forse perché ci siamo fermati al catechismo dei bambini. E' comprensibile che un bambino di dieci anni veda i farisei come i "cattivi", mentre Gesù è il buono. E per tanto che ci sforziamo sarà difficile estirpare dalla mente del bambino questa equazione: perché per tanto che ci sforziamo, ragionerà sempre come i cartoni animati che i genitori gli fanno veder eper tenerlo buono, perché devono lavorare e non hanno tempo di stargli dietro, e la nostra società non ha niente da offrire ai bambini, se non i cartoni animati per rimbecillirsi, e per far comprare ai genitori i vari gadget ad essi collegati: figurine, pupazzetti, robot animati, giochi elettronici, e via spendendo. Noi dunque siamo portati a ragionare come i bambini: fariseo uguale cattivo, Gesù uguale buono. E qui Gesù sconfigge i cattivi con la forza della sua parola. Ma non siamo più bambini, e abbiamo imparato a ragionare. Gesù sta insieme ai farisei, come uno di loro. Ci sono certamente le radici di un contrasto che si approfondirà inesorabilmente, e che si complicherà con la storia successiva della Chiesa. Ma appare anche un largo terreno comune. Gesù viene chiamato Maestro, come i maestri farisei. E la domanda a cui risponde è una tipica domanda del dibattito che intorno al I secolo coinvolge le scuole farisaiche. Anche il mettere alla prova non è da intendersi necessariamente in modo ostile. Può essere il legittimo desiderio di saggiare il peso specifico di Gesù e del suo insegnamento. Neanche noi ci fidiamo facilmente di una persona, senza averla messa alla prova...

La domanda

Va quindi sfumata la prospettiva del conflitto tra Gesù e i Farisei. Gesù accetta la domanda, e accetta di rispondere senza polemiche. Ma vediamo di capire la domanda, quale significato avesse nei tempi di Gesù. Per i Farisei era fondamentale l'osservanza della Legge di Mosè, contenuta nel Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio). Da essa erano stati ricavati seicentotredici precetti, di cui i dottori della Legge studiavano minuziosamente i corollari e le applicazioni. Ovviamente la casistica tendeva a moltiplicarsi all'infinito, per cui sorge l'interrogativo se esista una gerarchia tra i precetti, e quali siano quelli fondamentali. Alcuni rifiutavano l'idea stessa di una gerarchizzazione: porre una classificazione tra i precetti rischierebbe di favorire la pigrizia e la parzialità. Rabbi Hillel propone la "regola d'oro": non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Notiamo la serietà della questione, e la sua attualità. Noi non siamo farisei, e non abbiamo più come riferimento la Legge di Mosè, ma anche noi ci chiediamo che cosa sia veramente essenziale nella nostra vita, tra le molte cose che siamo costretti o ci costringiamo a fare. E anche chi deride la nostra fede, in fondo ci chiede: "perché è così importante essere cristiano? o che cosa ti rende diverso dagli altri uomini?".

La risposta

Gesù risponde citando la Legge. Riconosce quindi l'autorità dei libri di Mosè. Ma si ritiene in grado di enunciare la loro sostanza più genuina. E facendo questo, insinua di avere un'autorità superiore a Mosè. Il primo e grande comandamento è quello dell'amore di Dio. Un amore totale, che coinvolge tutta la persona. Ma come è possibile comandare di amare? Si suppone che Dio sia colui che ama per primo. Solo dopo viene la risposta dell'uomo. Il comandamento ha senso come risposta all'amore di Dio che si manifesta nella storia di salvezza di Israele, che a sua volta noi sappiamo che culmina in Gesù. C'è poi un secondo comandamento, simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. ll secondo comandamento è per così dire la visibilizzazione del primo. Possiamo parafrasarlo: "Il prossimo è l'uomo che Dio ha reso tuo fratello, attraverso la sua opera di salvezza. Per questo amando il prossimo tu manifesti l'amore per Dio. Come tu sei amato da Dio, così devi amare il tuo prossimo".
La risposta di Gesù conserva un'attualità enorme: anche oggi milioni di uomini riconoscono, almeno teoricamente, che l'importante è amare e volersi bene. Certamente, la maggior parte aggiunge che per far questo non è necessario credere in Dio.

Un influsso straordinario

Questo non deve preoccuparci, anzi forse dovrebbe rallegrarci: è il segno che il messaggio cristiano ha permeato in profondità la mentalità di moltissimi uomini. Noi come cristiani sappiamo che Dio è la fonte dell'amore, e vediamo bene che, senza Dio, l'amore ben presto diventa un idolo, o è incapace di riconoscere e fronteggiare gli idoli che subdolamente gli si contrappongono. Molti riconoscono che l'importante è amare; però ci sono le leggi della politica, dell'economia, la cattiveria degli uomini, la dura realtà, per cui IN PRATICA non sempre si riesce ad amare, anzi a volte in pratica devi fare proprio il contrario. Noi come cristiani sappiamo invece che l'amore di Dio viene prima delle leggi della politica, dell'economia, della cattiveria degli uomini, del nostro egoismo e interesse personale. Ma quando cominceremo a metterlo in pratica?


Flash sulla I lettura

Il libro dell'Esodo contiene il Codice dell'Alleanza, forse la più antica raccolta di leggi contenuta nel Pentateuco. Si tratta - come nella I lettura di questa domenica - di leggi che noi inseriremmo nel codice civile o nel codice penale. Molte hanno un corrispettivo nella legislazione dei popoli antichi: gli Assiri, gli Egizi, i Babilonesi... Dobbiamo tener presente che nella mentalità antica il potere politico e il potere religioso non erano separati, e Israele non faceva eccezione. Anzi, si riteneva che il vero Signore di Israele fosse proprio l'unico Dio dei Padri, colui che lo aveva liberato dall'Egitto. I re e gli altri capi erano visti solo come strumenti dell'esclusiva signoria divina. Noi oggi rifiuteremmo questa visione come integralista e totalitaria. Eppure proprio l'assoluta Signoria di Dio fa sì che nella legislazione entrino come criteri ispiratori fondamentali l'amore, la giustizia, l'attenzione al povero e al debole. Mentre nelle leggi antiche uno dei valori fondamentali era la protezione della proprietà (e quindi a favore delle classi più ricche), nella legislazione di Israele il valore fondamentale è la protezione della persona. Lo vediamo in questo breve elenco di leggi: la vedova e l'orfano vanno protetti; anche lo straniero va rispettato e non va oppresso. Addirittura si proibisce il prestito ad interesse, che diventava uno strumento di oppressione contro i più deboli negli anni di carestia, quando erano costretti ad indebitarsi per vivere, e per pagare i debiti dovevano vendere la loro casa e la loro terra. Dello stesso tenore la legge sul mantello preso a pegno: la legge economica trova il suo limite di applicabilità quando entra in gioco la vita della persona. Per noi oggi è una conquista la laicità dello Stato, e certamente non vogliamo tornare alla teocrazia dell'Antico Testamento. Ma resta drammaticamente attuale l'appello dell'antica legge a ispirare la propria condotta a criteri di giustizia e solidarietà, sia nella politica, sia nell'economia

Flash sulla II lettura

"Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro... la fama della vostra fede si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne". Paolo elogia la comunità dei Tessalonicesi, perché il loro esempio costituisce un formidabile veicolo alla diffusione della fede in Gesù. L'esempio vivo di una comunità credente vale, per la diffusione del Vangelo, più di molte parole. Probabilmente è questo che oggi manca alla nostra catechesi e alla nostra azione pastorale. Non perché nelle nostre parrocchie si faccia poco. Ma perché il molto che si fa rischia di non essere più identificabile come cristiano: la catechesi si riduce ad aggregazione; la pratica della carità si riduce a volontariato e assistenza ai bisogni; anche la vita liturgica viene appiattita a cerimonia e folklore. "Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero...": la vita dei Tessalonicesi porta il marchio inconfondibile della conversione e del servizio a Dio, ed è per questo che fa parlare di sé.