Omelia (29-03-2015)
padre Gian Franco Scarpitta
Una sintesi vitale di passione e di gloria

Cosa si prova a sentirsi umiliati dopo un periodo di gran successo, dopo che ci si vedeva esaltati e il proprio nome era sempre sulla bocca di tutti? Semplicemente ci si deprime e ci si demotiva, avendo la sensazione del fallimento e dell'inutilità. Ciò soprattutto quando il successo ci aveva gonfiati ed esaltati e l'orgoglio e la presunzione ci avevano dato la sensazione di grandezza e di onnipotenza. Avevamo ostentato grandi virtù forse inesistenti, avevamo riposto eccessiva fiducia in noi stessi e nelle nostre qualità e avevamo anche l'impressione che gli altri stessero ai nostri piedi, e adesso ci ritroviamo abbandonati e relegati al dimenticatoio da parte di tutti e nessuno ci usa più considerazione. Si cade allora nell'angoscia e nella depressione, come avviene a certi uomini dello sport o dello spettacolo la cui gloria ora è caduta in declino. Il culto eccessivo di se stessi, la presuntuosa esaltazione e la vanagloria sono diventate adesso motivo di umiliazione e di sconfitta e proprio ciò che era stato motivo di autoesaltazione e di protervia adesso diventa ragione di disperazione e di angoscia. E' proprio vero l''insegnamento di Gesù intorno all'umiltà: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" perché corrisponde all'esperienza comune del vissuto che alla fine fa sperimentare il vero premio di giustizia solo a chi ne è meritorio. Ma soprattutto perché ci insegna che tutte le volte che assaporiamo momenti di grandezza non possiamo non ricordare momenti di umiliazione per non cadere nella trappola distruttiva del falso orgoglio. Quando ci si sente esaltati e tronfi, è indispensabile ricordare quando si era snobbati e allontanati da tutti e soprattutto occorre considerare che la gloria e il successo non sono mai duraturi.
Bello e ispiratore è anche il pensiero di Montaigne: "Capita alle persone veramente sapienti quello che capita alle spighe di grano: si levano e alzano la testa dritta e fiera perché sono vuote, ma quando sono piene di chicchi cominciano ad umiliarsi e ad abbassare il capo" In un certo qual modo gli fa eco Paolo: "Vantarsi non giova a nulla".
Rimanendo in tema, parliamo adesso proprio del grano, visto che Gesù aveva detto di se stesso, nella liturgia precedente che "se il chicco di grano non muore rimane solo, se muore porta molto frutto." E infatti osserviamo cosa avviene in questa Domenica nella quale noi ostentiamo alle aspersioni di acqua benedetta le nostre palme e rami di ulivo: Gesù fa ingresso a Gerusalemme accolto dalle ovazioni della folla e dal tripudio della gente che lo acclama e lo accoglie come conviene ad un generale vittorioso o ad un imperatore; tutti fanno ressa attorno a lui gettando ai suoi piedi palme, rami d'ulivo e distendendo tappeti man mano che egli procede fra la folla. Viene esaltato e tuttavia sa benissimo che tutto questo durerà molto poco. Aveva infatti predetto più volte che Gerusalemme sarebbe stato il luogo del suo supplizio, che in quella città apparentemente felice per il suo ingresso avrebbe trovato la condanna, la solitudine, il flagello e la morte; di conseguenza Gesù e sa benissimo che questo momentaneo saggio di gloria è destinato di lì a poco a finire. Ragion per cui si dispone a questa evenienza come aveva previsto il profeta Zaccaria: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. "(Zc 9, 9) Noncurante degli apprezzamenti e degli elogi che gli provengono da tutte le parti, Gesù si avvia verso il centro della città del sontuoso tempio con sentimenti e con fare di moderazione e di modestia, anzi di umiltà e di sottomissione. Del resto lui sa benissimo che, nonostante sia il Figlio di Dio, si è fatto apposta obbediente fino a dover soffrire la morte e la morte di croce (Fil 2, 8 - 9) e pertanto intravede in quelle palme e in quei rami d'ulivo le piantagioni del giardino nel quale consumerà la sua paura e la sua angoscia in vista della morte.
E in effetti anche da parte nostra cosa di dovrebbe vedere in questi oggetti che noi esponiamo all'acqua benedetta se non il fatto che Gesù viene esaltato come Figlio di Dio che egli verrà di fatto innalzato alla gloria e che tutto si ricapitolerà in lui, ma che comunque tutto questo è necessariamente preceduto dalla tappa atroce della sofferenza e del dolore? Abbiamo qui un preludio della gloria pasquale e della sua vittoria definitiva sul sepolcro, ma allo stesso tempo contempliamo in Gesù l'uomo abbandonato e reietto che, sulla scia del Servo Sofferente di Yavhe, espone se stesso al vituperio e all'ignominia. E' l'inizio della Settimana Santa della quale oggi abbiamo il compendio nella visione di queste singole tappe che i vengono descritte dalla lettura speciale del brano evangelico, nel quale ritroviamo anche noi stessi nel continuo connubio fra morte e vita, fra umiliazione ed esaltazione, dolore e gioia; nel continuo avvicendarsi insomma della morte e della risurrezione di Cristo nella nostra stessa vita. Poiché la vita stessa è un alternarsi di successi e di fallimenti, di vittorie e di sconfitte, salute e malattia; essa è un invito a pazientare e a sperare in ciascuna delle giornate e nelle sorprese che esse ci presentano, con la sola differenza che, se persevereremo con Cristo, vi sarà la sola vita continua.