Omelia (05-05-2013)
Paolo Curtaz
Commento su Gv 14,23-29

"Vi do la mia pace, non come la dà il mondo": il confine del male e del bene è nel nostro cuore, il nemico è dentro di noi, non fuori, e la prima autentica pacificazione deve avvenire nel nostro intimo con noi stessi e la nostra violenza.


I cristiani, spesso, quando parlano di pace... pensano al cimitero! La pace, secondo la Parola di Gesù, è il primo dono che egli fa, risorto, apparendo agli impauriti discepoli. Un cuore pacificato è un cuore saldo, irremovibile, che ha capito il suo posto nel mondo, che non si spaventa nelle avversità, non si dispera nel dolore, non si scoraggia nella fatica. La scoperta di Dio, nella propria vita, l'incontro gioioso con lui, la percezione della sua bellezza, la conversione al Signore Gesù riconosciuto come Dio, suscita nel cuore delle persone una gioia profonda, sconosciuta, diversa da ogni altra gioia. È la gioia del sapersi conosciuti, amati, preziosi. E la scoperta dell'amore di Dio ci apre a scenari nuovi, inattesi: il mondo ha un destino di bene, un amorevole disegno che, malgrado la fatica della storia e dell'umanità, confluisce verso Dio. E in questo progetto io, se voglio, ho un ruolo determinante.

Credere in questo, ed è un'adesione alla fede quasi sempre tormentata e sofferta, non immediata e leggera, dona la pace del cuore. Pace profonda, salda, pace irremovibile, ben diversa dalla pace del mondo, quella che viene venduta come assenza di guerra, o peggio ancora... come guerra, ritenuta necessaria per imporre la pace.