Omelia (15-06-2014)
don Alberto Brignoli
Come dire di no a un Dio così?

Che in una nazione nella quale si voglia assicurare la pacifica convivenza tra gli uomini siano assolutamente necessarie delle norme e delle leggi, è fuori discussione. Pensiamo a una democrazia dove non esistano leggi e norme, e dove ognuno possa comportarsi come desidera perché sa benissimo che nessuno mai lo riprenderà per i suoi comportamenti, e ancor meno lo giudicherà e lo condannerà: sarebbe l'anarchia assoluta, nel vero senso della parola, una "assenza di principi". Certo, anche le leggi hanno bisogno a loro volta di regole; le norme hanno bisogno di essere "normate" e le "regole" di essere "regolate". Non è per il solo fatto di essere stato scelto per essere giudice all'interno di uno stato, che un cittadino può permettersi di fare quello che vuole: il dibattito sulla responsabilità civile dei magistrati che in questi giorni sta interessando la nostra nazione ce lo ricorda. Fino a che punto un giudice deve e può essere indipendente nello svolgimento delle sue funzioni? Chi regola la giustizia, è da essa regolato adeguatamente? Chi sbaglia nel tentativo di giudicare bene, deve comunque essere assolto perché stava cercando di restaurare la giustizia, oppure ha delle responsabilità pure lui?
E via discorrendo: senza volere entrare nei termini tecnici o giuridici della questione, il tema di fondo è che la giustizia è un elemento fondamentale nell'amministrazione di uno stato o comunque di una comunità di persone. Senza una legge, e senza la certezza della pena corrispondente alla violazione della legge, non ci può essere rispetto della giustizia, né pacifica convivenza, né democrazia, né libertà e nemmeno dignità assicurata ai singoli. Chi sbaglia, va giustamente giudicato, e se la colpa è ritenuta tale da dover essere espiata con una pena, il soggetto va condannato a risarcire il danno che ha commesso con il suo torto.
E come mai con Dio non è così? Se Dio è giusto e si gloria di essere il paladino della giustizia, perché non condanna chi commette ingiustizie? Questa è una delle domande su Dio che spesso ci facciamo; e una Solennità come quella di oggi, in cui siamo chiamati - contemplando il mistero della Santissima Trinità - ad entrare in profondità nell'idea di Dio, nella comprensione della sua identità e della sua opera di salvezza lungo i secoli, ci stimola ad andare in fondo nella comprensione del modo di operare di Dio.
Quella sulla giustizia divina è davvero una delle grandi questioni su Dio. Al punto che già il profeta Geremia, vari secoli prima di Cristo, si dirigeva a Dio con queste domande dal sapore esistenziale: "Tu sei troppo giusto, Signore, perché io possa discutere con te; ma vorrei solo rivolgerti una parola sulla giustizia. Perché le cose degli empi prosperano? Perché tutti i traditori sono tranquilli?" (Ger 12,1). Riprendendo la terminologia del Vangelo di oggi, Geremia direbbe: "Perché Dio non condanna il mondo", che di certo non brilla per giustizia e onestà? E sappiamo bene quanto il concetto di "mondo" nel Vangelo di Giovanni trascini con sé anche parecchi elementi negativi: è sì l'insieme delle realtà create da Dio, ma la sua ostilità verso Cristo e i suoi discepoli dice quanto in realtà ora il mondo sia sotto il potere del male, e da quel potere va liberato. Insomma, un "mondo" così non ha certo nulla di buono da salvare; quello in cui viviamo noi, ancora meno...la necessità di un Dio che scenda dalla sua comoda trascendenza e venga a rimettere in ordine le cose è veramente invocata da più parti e con frequenza.
E, infatti, Dio scende dalla comodità dei cieli, e invece di adagiarsi sul comodo concetto di Dio creatore e orologiaio del mondo, accetta di sporcarsi le mani, di infangarsi con il mondo, di farsi addirittura "fango" come fece con Adamo, e di abitare da uomo in mezzo agli uomini. La novità - ed è quello che a noi suona un po' strano - è che con questo "mondo" non ci sta a fare a pugni o - come ci aspetteremmo - a lanciare invettive e scomuniche. No, niente condanne: il Dio fatto uomo, il Dio di Gesù Cristo, non è venuto nel mondo per condannare il mondo, "ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". Un Dio paziente, quindi, e soprattutto molto diverso da quanto, in nome del nostro falso perbenismo, ci aspetteremmo.
Sì, perché un Dio giudice che condanna, in realtà nemmeno l'Antico Testamento ce l'aveva trasmesso. Lo stesso Mosè, che dell'essenza e dell'identità di Dio è un esperto, non ci ha tramandato altra immagine di Dio se non quella che abbiamo ascoltato nella prima lettura: "Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà". Un Dio così, non ne ha proprio, di voglia di "condannare"....
Allora, vuole dire che il Dio di Gesù Cristo è veramente così, e lo è da sempre, e se la sua presenza si fa storia per lo Spirito Santo che è nel mondo, stiamo pure certi che sarà per sempre così. Non aspettiamoci un Dio Giudice; aspettiamoci un Dio Giusto, la cui giustizia si basa sulla misericordia, sulla pazienza e sulla compassione, in una parola sola, sull'amore. È un Dio che, quindi, tollera il male e l'ingiustizia? Niente affatto: solo, non ha necessità di ribadire una condanna che è già scritta per chi, liberamente, ha deciso di non avvalersi dell'amore di un Dio come lui.
"Chi crede in lui, non è condannato; ma chi non crede, è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome del Figlio di Dio". La peggior condanna sull'uomo, la firma l'uomo stesso, rifiutandosi di credere in un Dio così. Non c'è peggior condanna che quella di scegliere di vivere lontani da lui e di non credere in lui. Un Dio che non ci condanna, che ci perdona, che ci vuole bene, che ci risolleva quando sbagliamo, che ama tutto ciò che è umano, che vede il bene in ogni creatura, che dà speranza e fiducia, che - come dice Paolo - quando vive in noi ci dà gioia, ci fa tendere alla perfezione, ci dà coraggio, ci fa vivere nella pace...: ma come si fa a dire di "no" a un Dio così, solo perché la sua giustizia non ce la fa pagare?