Omelia (02-03-2014)
mons. Gianfranco Poma
Guardate gli uccelli del cielo

La Liturgia della domenica VIII del tempo ordinario si apre con la lettura di alcuni versetti del profeta Isaia (Is.49,14-15) che toccano il cuore del popolo d'Israele in un momento drammatico della sua storia: "Sion ha detto: ?Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato'. Si dimentica forse una donna del suo bambino, da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io non ti dimenticherò mai."
E continua la Liturgia facendoci pregare il Salmo 61/62 "Solo in Dio riposa l'anima mia...Lui solo è la mia salvezza, la mia roccia, la mia difesa, la mia speranza, il mio riparo sicuro, il mio rifugio". Il Salmo termina con questo invito: "Confida in lui, o popolo, in ogni tempo; a lui aprite il vostro cuore". Invitandoci a vivere questa esperienza di fiducia in Dio che ci ama con amore materno, di affidamento totale a lui che non si dimentica di noi e ci protegge, sempre, la Liturgia ci prepara ad ascoltare intensamente il "discorso della montagna".
Il brano che oggi leggiamo, Matt.6,24-34, inizia con un'affermazione di Gesù che con estrema chiarezza chiede al suo discepolo una scelta precisa di campo: "Nessuno può servire due padroni... non potete servire Dio e la ricchezza. La parola che oggi ascoltiamo pone l'uomo moderno, che Gesù chiama ad essere suo discepolo, di fronte all'impossibilità di sfuggire alla radicalità dei problemi che toccano il senso fondamentale dell'esistenza. Può l'uomo della scienza continuare a credere, ad affidare la propria vita ad un Padre "provvidente"? Che senso ha la proposta di Gesù per l'uomo che dispone dei mezzi potenti della scienza e della tecnica, che crede nella forza del denaro, del potere, dell'immagine? La lettura attenta del Vangelo di Matteo ci mostra come la proposta di Gesù non è per nulla ingenua: egli ci chiede di ascoltare la sua parola e di lasciare che essa diventi il senso della nostra esistenza proprio nella novità dell'esperienza dell'uomo moderno. Si tratta di percorrere un cammino nuovo, che nasce dalla radicalità di una scelta, che può dare senso e luce a tutto ciò che è umano. Ma questa scelta è necessaria! A chi vuol essere suo discepolo, oggi, Gesù apre gli occhi, chiede il cuore, chiede tutto, per poter fare di lui un uomo libero per vivere tutto.
Il tema centrale dell'insieme di Matteo 6,19-34, che comprende anche il brano che precede quello che oggi leggiamo, consiste nel porre il suo lettore di fronte alla possibilità di due possibili scelte esistenziali: una fondata sulla "terra", sinonimo di tenebra, servizio del denaro, inquietudine per la realtà del mondo, l'altra sul "cielo", sinonimo di luce, servizio di Dio e fiducia in lui. E Matteo guida il suo lettore ad entrare nella propria interiorità, a vedere dov'è il suo tesoro e di conseguenza dov'è il suo cuore e gli chiede il coraggio dell'onestà verso se stesso, lo invita a mettere una mente al cuore (un occhio sano che renda luminosa la vita) e di decidere: "Non si può servire Dio e la ricchezza".
Oggi questo è per noi. Tutte le coppie antitetiche presentate da Matteo, cielo e terra, luce e tenebre, occhio semplice e occhio malvagio, odiare e amare, attaccarsi e disprezzare, Dio e ricchezza, mostrano la radicalità della scelta: non è possibile il compromesso. Si tratta di scelte esistenziali incompatibili: il discepolo di Cristo sceglie Lui, Lui solo, senza rimpianti. Infatti, solo l'essere "persone dalla piccola fede", impedisce di gustare l'esperienza della cura affettuosa di Dio per tutte le sue creature: scegliere Cristo significa entrare con lui nella relazione filiale con il Padre, una relazione la cui logica è la gratuità dell'Amore, opposta a quella del mondo. Alla radice di tutto ciò che esiste c'è un atto di Amore che è il senso di tutto.
Chi sceglie Cristo, chi crede l'Amore, sperimenta la vita come il grande dono del Padre. Per sei volte in pochi versetti ritorna il verbo "angustiarsi", "preoccuparsi" (6,25.27.28.31.34b): è evidente quanto a Matteo interessi che la sua comunità sia il luogo dell'esperienza di persone libere dalle preoccupazioni che impediscono di vivere. Chi crede l'Amore sperimenta che la fonte da cui dipende la vita è sempre ricca e feconda. E a questo punto il discorso di Gesù si fa raffinato: la fede nell'Amore del Padre non è la fiducia passiva in una Provvidenza che deresponsabilizza, ma è una esperienza dell'essenziale, il dono d'Amore, che genera un modo nuovo di vedere, giudicare e operare.
"Per questo vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita...né per il vostro corpo...": chi crede in un Padre che per amore dona la vita, ha la tranquillità e la libertà del cuore, per poter affrontare tutti i problemi senza rimanerne schiacciati.
"Guardate gli uccelli del cielo...". Gesù invita a contemplare, a "vedere" la realtà, la creatura, per gustare il tesoro ricevuto, l'amore gratuito del creatore. Anche gli uccelli lavorano, cercano...ma ciò che trovano è ben oltre ciò che fanno: tutto è dono.
"Guardate i gigli del campo..." In pochi testi evangelici appare con tanta semplicità la fede di Gesù e dei suoi discepoli nel Dio creatore. Dio creatore così vicino alla natura e agli uomini. Dio creatore che rende partecipi del mistero della vita gli uomini così ingrati e così "poco fiduciosi" in lui. Gli uomini (noi) che anziché mettere una mente al cuore ("giudicare" l'opera di Dio che hanno visto) preferiscono la loro "sapienza", che si rivela così limitata, come quella che anche Salomone ha voluto cercare per vie sue.
Il cibo, la bevanda, il vestito, sono bisogni elementari e legittimi: il dramma dell'uomo non è di sentirli, ma di avvertirli senza fiducia e senza speranza.
"Non angustiatevi..." insiste Gesù, sottolineando che il motivo dell'angoscia sta nell'essere "poco credenti". L'uomo pagano (che sta anche dentro di noi) fa di questi beni elementari l'oggetto di una ricerca inquieta, mostrando di non conoscere il Creatore, dal quale riceverebbe tutto in dono. Tutto il problema sta nel "cercare": cercare con angoscia, fuori di sé, con la paura di non trovare, o cercare con la certezza dell'Amore di un Padre che dona la vita al figlio e conosce ciò di cui egli ha bisogno? L'uomo pagano cerca ignorando l'amore del creatore, di conseguenza rischiando di fare violenza alla creazione per "impossessarsene", provocando pure ingiustizie sociali.
"Non angustiatevi...il Padre vostro sa..." Gesù insiste: ma egli non parla da psicologo né da psicoanalista. Parla da figlio che sperimenta (vede, tocca, sente...) che tutta la sua esistenza gli è donata dal Padre: tutto è Amore di Dio, Creatore, Padre. Ai suoi discepoli Gesù dice di non angustiarsi, ma non come atteggiamento psicologico: è la fede, è l'esperienza radicale dell'essere amati dal Padre, che dona la vita, è l'esperienza della vita come infinito, inesauribile mistero, come Dio dentro di noi, che libera dalla paura, dall'angoscia. Il "tesoro" ci è già donato: non è da "cercare" con l'angoscia dell'irragiungibile.
Ma ancora una volta, Gesù ci avverte: la fede non è passività fatalista. "Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia... tutte queste cose vi saranno date". "Cercate": dove? Dentro di noi: nel profondo di noi stessi, nella vita nostra. Nella nostra fragilità, sotto un cumulo di macerie, scopriamo Lui, il suo Regno, la sua giustizia (è l'unico passo del Vangelo in cui si parla di "giustizia di Dio"), il suo Amore misterioso: non è facile credere. Non è facile credere l'Amore: per questo al centro del discorso della montagna c'è la preghiera, il "Padre nostro". "Cercate": a noi è chiesto di non porre ostacoli a questa nostra insaziabile sete di Lui. "Vi saranno date tutte queste cose": chi ha trovato la vita sperimenta che gli è donato tutto. La paura, l'ansia, ostacola la vita, impedisce le relazioni, distrugge la ricchezza della creazione che ci è donata.
"Non preoccupatevi del domani...a ciascun giorno basta la sua pena": non è facile (ma è stupendo!), credere l'Amore e attimo per attimo gustare, costruire, dilatare gli spazi dell'Amore.