Omelia (26-05-2013)
mons. Vincenzo Paglia
Commento su Proverbi 8,22-31; Salmo 8; Romani 5,1-5; Giovanni 16,12-15

Introduzione

Il giorno di Pentecoste Gesù comunica se stesso ai discepoli per mezzo dell'effusione dello Spirito Santo. La piena rivelazione di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo si ha nel mistero della Pasqua, quando Gesù dona la vita per amore dei suoi discepoli. Bisognava che questi sperimentassero innanzitutto il supremo dono dell'amore compiuto da Gesù per comprendere la realtà di Dio Amore che dona tutto se stesso. Egli, oltre a perdonare i peccati e a riconciliare l'uomo con sé, lo chiama ad una comunione piena di vita ("In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi": Gv 14,20); gli rivela la ricchezza dei suoi doni e della speranza della gloria futura (Ef 1,17-20); li chiama ad una vita di santità e di donazione nell'amore al prossimo ("Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati": Gv 15,12). Anch'essi sull'esempio del loro maestro sono chiamati a dare la vita per i fratelli ("Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici": Gv 15,13). Per ora essi sono incapaci di accogliere e accettare tali realtà. Lo Spirito Santo farà entrare nel cuore degli apostoli l'amore di Cristo crocifisso e risuscitato per loro, li consacrerà a lui in una vita di santità e d'amore, li voterà alla salvezza delle anime. Non saranno più essi a vivere, ma Gesù in loro (cf. Gal 2,20). Ogni cristiano nel corso del suo cammino è chiamato ad arrendersi all'amore e allo Spirito di Cristo crocifisso e risorto. Oggi è il giorno della decisione.

Omelia

Nel Vangelo, tratto dai discorsi di addio di Gesù, si profilano sullo sfondo tre misteriosi soggetti, inestricabilmente uniti tra loro. "Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi condurrà alla verità tutta intera...Tutto quello che il Padre possiede è mio [del Figlio!]". Riflettendo su questi e altri testi dello stesso tenore, la Chiesa è giunta alla sua fede nel Dio uno e trino.

Molti dicono: ma cos'è questo rebus di tre che sono uno e di uno che sono tre? Non sarebbe più semplice credere in un Dio unico, punto e basta, come fanno gli ebrei e i musulmani? La risposta è semplice. La Chiesa crede nella Trinità, non perché prenda gusto a complicare le cose, ma perché questa verità le è stata rivelata da Cristo. La difficoltà di comprendere il mistero della Trinità è un argomento a favore, non contro la sua verità. Nessun uomo, lasciato a se stesso, avrebbe mai escogitato un tale mistero.

Dopo che il mistero ci è stato rivelato, intuiamo che, se Dio esiste, non può che essere così: uno e trino allo stesso tempo. Non può esserci amore se non tra due o più persone; se dunque "Dio è amore", ci deve essere in lui uno che ama, uno che è amato e l'amore che li unisce. I cristiani sono anch'essi monoteisti; credono in un Dio che è unico, ma non solitario. Chi amerebbe Dio se fosse assolutamente solo? Forse se stesso? Ma allora il suo non sarebbe amore, ma egoismo, o narcisismo.

Vorrei cogliere il grande e formidabile insegnamento di vita che ci viene dalla Trinità. Questo mistero è l'affermazione massima che si può essere uguali e diversi: uguali per dignità e diversi per caratteristiche. E non è, questa, la cosa che abbiamo più urgente bisogno di imparare, per vivere bene in questo mondo? Che si può essere, cioè, diversi per colore della pelle, cultura, sesso, razza e religione, eppure godere di pari dignità, come persone umane?

Questo insegnamento trova il suo primo e più naturale campo di applicazione nella famiglia. La famiglia dovrebbe essere un riflesso terreno della Trinità. Essa è fatta da persone diverse per sesso (uomo e donna) e per età (genitori e figli), con tutte le conseguenze che derivano da queste diversità: diversi sentimenti, diverse attitudini e gusti. Il successo di un matrimonio e di una famiglia dipende dalla misura con cui questa diversità saprà tendere a una superiore unità: unità di amore, di intenti, di collaborazione.

Non è vero che un uomo e una donna debbano essere per forza affini per temperamento e doti; che, per andare d'accordo, debbano essere o tutti e due allegri, vivaci, estroversi e istintivi, o tutti e due introversi, quieti, riflessivi. Sappiamo anzi quali conseguenze negative possono derivare, già sul piano fisico, da matrimoni fatti tra parenti, all'interno di una cerchia ristretta. Marito e moglie non devono essere uno "la dolce metà" dell'altro, nel senso di due metà perfettamente uguali, come una mela tagliata in due, ma nel senso che ognuno è la metà mancante dell'altro e il complemento dell'altro. Questo intendeva Dio quando disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto simile a lui" (Gn 2,18). Tutto questo suppone lo sforzo per accettare la diversità dell'altro, che è per noi la cosa più difficile e in cui solo i più maturi riescono.

Vediamo anche da questo come sia errato considerare la Trinità un mistero remoto dalla vita, da lasciare alla speculazione dei teologi. Al contrario, esso è un mistero vicinissimo. Il motivo è molto semplice: noi siamo stati creati a immagine del Dio uno e trino, ne portiamo l'impronta e siamo chiamati a realizzare la stessa sublime sintesi di unità e diversità.