Omelia (12-08-2012)
padre Ermes Ronchi
Quel pane vivo disceso dal cielo

Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira. Non si diventa cristiani se non per questa at­trazione, non certo per via di indottrinamento o di crociate. Io sono cristiano per attrazio­ne: mi attira un Dio buono co­me il pane, umile come il pa­ne, energia inesauribile che a­limenta la vita, ogni vita, tutta la vita. Si dà e scompare. E an­che i suoi figli faranno come lui, si faranno pane buono. Ai funerali di don Primo Mazzo­­lari, un suo parrocchiano eb­be a dire: ci bastava guardarlo, vederlo passare. Per noi era pa­ne.
Il verbo di questo Vangelo è «mangiare». Così semplice, quotidiano, vitale. Che indica cento cose, ma la prima è vi­vere. Mangiare è questione di vita o di morte. Dio è così: una questione di fondo. Ne va del­la tua vita. Il segreto, il senso ultimo nel tempo e nell'eter­no è vivere di Dio. Non solo di­ventare più buono, ma avere Dio dentro, che mi trasforma nel cuore, nel corpo, nell'ani­ma, mi trasforma in lui. Parte­cipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che rice­viamo (Leone Magno). Mi ha molto colpito un anziano sa­cerdote francese che porgendo il pane della comunione sole­va dire: che possiamo diventa­re ciò che riceviamo, il corpo di Cristo.
Dio in me: il mio cuore lo as­sorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola. Ed è il senso di tutta la storia: por­tare cielo nella terra, Dio nel­l'uomo, vita immensa in que­sta vita piccola. Molto più del perdono dei peccati è venuto a portare: è venuto a dare se stesso.
Mangiare la carne e il sangue di Cristo, non si riduce però al rito della Messa. Il corpo di Cri­sto non sta solo sull'altare, del suo Spirito è piena la terra, Dio si è vestito d'umanità, al pun­to che l'umanità intera è la car­ne di Dio. Infatti: quello che a­vete fatto a uno di questi l'ave­te fatto a me. «Mangiare il pa­ne di Dio» è nutrirsi di Cristo e di Vangelo, respirare quell'aria pulita, mangiare quel pane buono, continuamente. Do­mandiamoci allora: noi di che cosa ci nutriamo? Di che cosa alimentiamo cuore e pensieri? Stiamo mangiando generosità, bellezza, profondità? O stiamo nutrendoci di superficialità, miopie, egoismi, intolleranze, insensatezze? Se accogliamo in noi pensieri degradati que­sti ci riducono come loro; se accogliamo pensieri di vange­lo, di bontà e di bellezza essi ci fanno uomini e donne della bellezza.
Se ci nutriamo di Vangelo, il Vangelo dà forma al nostro pensare, al sentire, all'amare. E diventiamo ciò che ci abita.
Io non sono ancora e mai il Cri­sto, ma io sono questa infinita possibilità (Turoldo). Non ba­sterà questa vita forse, ma lui ha promesso. Ha promesso e io lo credo. Sono convinto che lo diverrò: una cosa sola con lui .