Omelia (03-06-2012)
don Alberto Brignoli
Il Dio della Storia

"Interroga i tempi antichi che furono prima di te - dice Mosè al popolo d'Israele nel deserto -: dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra... vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa?", ovvero una storia di profonda vicinanza tra Dio e l'uomo? Una vicinanza che non fa paura, che non spaventa, al punto che l'uomo può avvicinarsi a Dio, può ascoltare la sua voce, può sentirlo vicino a sé con il suo calore, può quasi toccare questo fuoco che arde, senza correre minimamente il rischio di bruciare o di scottarsi.
E tutto questo per un popolo che era abituato a vedere Dio come un essere distante, come il "totalmente Altro" rispetto all'uomo, uno di fronte al quale era assolutamente impensabile potersi presentare senza mettere a repentaglio la propria vita. Un Dio che, ancor oggi, spesso pare parlarci attraverso il linguaggio terrificante e sconvolgente dei cataclismi naturali. Un Dio a cui ci viene voglia di rivolgerci per chiedergli: "Ma si può sapere dove sei finito?".
E un'altra domanda che Mosè pone al popolo è questa: "Ha mai tentato un Dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un'altra con prove, segni, prodigi e battaglie...come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto?". Ovvero, il ribaltamento di ogni logica di religione, nella quale è l'uomo che va alla ricerca di qualcosa che dia un senso alla sua esistenza, e trova la risposta a questo desiderio di senso pensando a un Essere a lui superiore, dandogli il nome di una divinità il più possibile familiare a lui, e instaurando con lui un rapporto di fedeltà, di fiducia, ma soprattutto di venerazione e di rispetto.
È totalmente illogico pensare che sia una divinità ad andare in cerca dei propri fedeli, come se lo facesse per avere almeno qualcuno che la adori, quasi per non rimanere solo...
Eppure, a quanto pare, Dio è così: non può, e non vuole, rimanere da solo. Non vuole avere nulla in comune con le altre divinità, quelle che - imperturbabili - si accontentano di avere un Olimpo, un luogo privilegiato e lontano dalla terra dove possano fare tutte le loro cose, più o meno lecite, i cui effetti (soprattutto quelli negativi) si riversano sul mondo come se fosse una valvola di sfogo della loro onnipotenza, che a volte si inceppa un po'...
E neppure gli va molto che l'uomo "giochi d'anticipo" su di lui, permettendogli di andare in cerca di lui e facendosi trovare solamente dopo un affannoso ed estenuante vagare fatto il più delle volte di sofferenze, di momenti di sconforto, e purtroppo anche di bestemmie nei suoi confronti.
Il Dio dell'Esodo, ma più profondamente e in maniera più completa il Dio di Gesù Cristo, ovvero il Dio della Rivelazione, è appunto "Colui che si rivela", Colui che si mostra presente, Colui che si lascia trovare da chi lo cerca con cuore sincero perché è lui stesso che, ancor prima, mette nel cuore di chi lo cerca il desiderio di lui. È il Dio della compagnia, non della solitudine; il Dio della condivisione, non dell'esclusione; il Dio della storia, non dell'immobilità eterna; il Dio del popolo, non dell'oligarchia; il Dio autorevole, non il Dio autoritario; il Dio che per farsi rispettare e venerare non si impone, ma si propone; non obbliga, ma piuttosto esorta; non crea sudditi, ma figli. Un Dio che non è padrone, e che invece ama essere Padre.
Per di più, a questo nostro Dio non piace solamente parlare. Non è molto dell'idea di impartire ordini e comandamenti (che se nella Bibbia ci sono, sono dettati più da esigenze storiche di conservazione della nazione che da reali imposizioni divine): preferisce, appunto, "rivelarsi", mostrarsi presente, con segni e prodigi, nella storia dell'umanità, perché l'uomo sappia che "il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra".
La Sacra Scrittura è un continuo tentativo di descrizione dei segni e dei prodigi, più o meno miracolosi, compiuti da Dio: dalla Creazione all'Esodo, dalla Terra Promessa al Regno, dal Tempio alla Profezia, tutti prodigi resi ancor più grandiosi dal loro passaggio indenne attraverso le oscure vicende umane del peccato, di Adamo, Eva e Caino, del Diluvio e di Babele, di Sodoma e Gomorra e della schiavitù in Egitto, dell'esilio in Babilonia e delle continue dominazioni e spogliazioni subite dal suo popolo.
Quante vicende di fallimento e quante narrazioni di prodigi riporta, la Bibbia! Storie e vicende di un Dio in continua rincorsa di un uomo che non è capace di riconoscere lo Spirito di Dio presente nella storia, ma che nonostante tutto sempre lo salva dall'autodistruzione!
Quanti uomini e donne ispirati da Dio, riempiti del suo Spirito, inviati al popolo a rinfrescargli continuamente la memoria su quella primordiale iniziativa d'amore di Dio nei suoi confronti!
Ma nessuno di essi può essere comparato all'opera più grande dello Spirito di Dio, la sua Incarnazione nella vicenda storica del Figlio, Gesù Cristo, la più geniale delle trovate di Dio: farsi incontrare dall'uomo che lo cerca facendosi come lui.
Oggi siamo qui, in maniera quasi abitudinaria, per una scadenza di calendario, a celebrare il mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo al tempo stesso. Anche oggi, come già ieri e poi domani, siamo qui a farci il segno di croce parlando di un Dio che è unico e che si rivela in tre persone; ma quasi sempre, questo gesto che facciamo e questa formula che ripetiamo un mucchio di volte in tutte le nostre celebrazioni e preghiere, rischiano di rimanere una bella affermazione del catechismo o un'elucubrazione mentale di qualche teologo che poco o niente cambiano nella nostra vita di ogni giorno.
Se invece sapessimo guardare in modo "trinitario" alla storia della salvezza così come la Bibbia ce la tramanda, oggi eviteremmo di compiere e di ripetere gli errori del passato, delle nostre oscure vicende umane, spesso commessi, purtroppo, anche in nome della religione.
Non metteremmo mai Dio al servizio dei nostri disegni politici, leciti o meno che siano; non eserciteremmo mai sugli altri, specialmente sui più deboli, un'autorità da noi stessi dichiarata "in nome di Dio"; non ci costruiremmo un Dio a nostra immagine e somiglianza; non faremmo dell'arrivismo e dell'apparenza il nostro altare, trasformando addirittura le tragedie umane in tribuna politica per i nostri dibattiti sulla sicurezza dei luoghi di lavoro o sull'utilità delle forze armate; non useremmo mai un rappresentante della religione, il più alto o il più umile che esso sia, per avere notorietà e lucro svendendone il sacrosanto diritto alla privacy; non ci sentiremmo mai degli "arrivati", ma ci metteremmo continuamente in cammino, perché l'ultimo comando di Gesù nel Vangelo ai suoi discepoli è "Andate!".
Se crediamo che il Dio Padre, Figlio, e Spirito Santo è il Dio della storia condivisa e vissuta in compagnia dell'uomo, non possiamo accontentarci di una fede fatta di riti, di celebrazioni e di parole.
Riprendiamoci una fede a misura di Dio Padre, piena di fiducia in lui e nell'uomo; a misura di Dio Figlio, in piena condivisione con le vicende umane; a misura di Spirito Santo, sempre in cammino sulle strade dell'umanità.