Omelia (13-05-2012)
mons. Gianfranco Poma
Dio è amore

E' questa la grande rivelazione che sta al centro dei due testi di Giovanni (1 Giov.4,7-10; Giov.15,9-17) che ci sono proposti dalla Liturgia nella domenica sesta di Pasqua. "Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1 Giov.4,16). "Queste parole della Prima lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo". Il Santo Padre Benedetto XVI inizia così la sua enciclica "Deus caritas est", splendida meditazione teologica, commento ai testi di Giovanni. "Dio è amore": il Papa, approfondendone il significato, con chiarezza afferma che si tratta del centro della fede cristiana. La Liturgia oggi ci invita a percorrere il cammino interiore della nostra esperienza di fede, spogliandoci di tante sovrastrutture e liberandoci di tante preoccupazioni che rischiano di farci perdere l'essenziale: Dio è amore. Il Papa aggiunge: "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva". "Dio nessuno lo ha mai visto - dice ancora Giovanni - il Figlio unigenito, che è Dio, ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha spiegato": noi non potremmo conoscere nulla dell'infinito mistero di Dio se il Figlio che dal Padre ha ricevuto tutto e per questo è Dio, essendo intimo alla vita del Padre, lui stesso non ce lo avesse narrato. Gesù è il Figlio che conosce l'infinito amore del Padre e nella sua carne ce lo rivela: l'incontro con lui ci rende capaci di sperimetare l'Amore e di sentire che il senso della vita dell'uomo è l'amore. "Noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi": comincia così l'esplosione di meraviglia di Giovanni (1 Giov.4,16) di fronte a "quello che era da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo visto con i nostri occhi, quello che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno palpato del Verbo di Dio". E' un fiume in piena Giovanni per cercare di esprimere l'intensità dell'esperienza fatta nell'incontro con Gesù: è Lui che ci ha reso visibile, sperimentabile, l'invisibile; è Lui che ci ha fatto conoscere l'amore che Dio ha "in" noi; è Lui che attraverso la sua carne ci ha aperto la via perché, pure nella nostra carne, conosciamo l'amore che Dio ha in noi. "Abbiamo conosciuto e creduto l'amore": in Lui abbiamo "creduto l'Amore". "Credere l'Amore!" Sì, perché l'amore che è in noi rimane sempre la goccia di un infinito oceano, un infinito che si infrange in noi, che diventa fragile per non schiacciarci (e non sarebbe amore!), un amore che ci lascia liberi, che anche ci tormenta, che si nasconde, che ci scandalizza sino al punto di porre la domanda radicale: "ma dov'è l'Amore, quando accadono tagedie, di ogni tipo? Come è possibile credere l'Amore quando l'uomo arriva a vertici di durezza, crudeltà...?" Gesù ha parlato di Amore alla vigilia della sua passione, non ha illuso i suoi discepoli: Lui ha creduto l'Amore anche nel momento del grande silenzio del Padre. Una sola parola conclude la sua esistenza: "Compiuto". Sì, "è compiuto", il motivo della sua venuta; è compiuta la discesa del Verbo, che vuol mostrare l'infinito che si annienta per essere Amore. Ma solo annientandosi diventa infinito: l'Amore solo morendo risorge. Guardando Gesù "abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi" perché impariamo a conoscere e a credere l'amore che Dio ha in noi anche nella quotidianità della nostra vita, nei suoi silenzi drammatici...nella certezza che l'ultima parola è l'Amore.
E' il centro della fede cristiana: il nome nuovo di Dio è "Amore" e l'uomo è una goccia di amore dell'oceano infinito.
"Chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui": tutto di Gesù è Amore, in Lui l'intimità dell'amore donato e dell'amore accolto si è pienamente realizzata. Nell'incontro con Lui e nel rimanere nell'intimità con Lui, ogni persona umana trova la propria realizzazione. Nell'esperienza dell' Amore, illuminata da Lui, trova senso anche la più drammatica delle esperienze umane.
Per questo Gesù parla di gioia: "Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". (Giov.15,11) Non è frequente che Gesù parli dei propri sentimenti: qui parla della sua gioia. L'esperienza dell'amore è gioia: Gesù che gusta l'amore infinito del Padre e la cui vita rimane un continuo scambio d'amore non può che essere gioioso. Il suo volto non può che essere soffuso di gioia, la "sua" gioia, quella che rimane, anzi, risplende persino sulla croce: Gesù ci ha parlato, ci ha svelato il segreto della sua gioia, perché la nostra gioia sia piena.
E Gesù comincia a delineare in modo nuovo e sorprendente la figura dei discepoli.
I suoi discepoli vivono, ogni attimo, come Lui, della volontà del Padre e rimangono nel suo Amore, anche nei momenti della più buia oscurità. ("Padre, se vuoi, passi da me questo calice, ma non la mia, ma la tua volontà si compia")
I discepoli ascoltano la parola di Gesù: la loro esperienza non nasce dal proprio impegno morale e non è solo psicologica; nasce dall'accoglienza interiore della novità della parola di Gesù, che nella carne vive la vita del Figlio amato dal Padre, e sperimenta la gioia dell'amore. I discepoli sperimentano la "sua" gioia, una gioia "piena", che coesiste con il limite umano, con la paura, con il dolore, con il fallimento...Il volto dei discepoli è un volto gioioso, di chi gusta l'Amore che crede.
I discepoli ascoltano il comandamento di Gesù: "che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi". Il comandamento di Gesù non è un imperativo etico affidato alle forze umane: è il dinamismo nuovo generato nell'uomo dall'accoglienza dell'amore del Padre. Chi si lascia amare dal Padre, "come" Lui, "come" Lui ama gli altri. Non si può fermare l'Amore: l'amore vicendevole è la prova della verità con la quale ci lasciamo amare dal Padre.
E Gesù aggiunge: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". Il suo amore è la misura dell'amore vicendevole: "dare la vita", non è tanto "morire", ma vivere intensamente la propria vita offrendola, donandola vicendevolmente, per infondersi vita vicendevolmente. La circolazione del dono della vita, con il dinamismo che viene da Lui, rende i discepoli "amici" suoi.
Il nome nuovo dei discepoli di Gesù è "amici": in comunione con Lui, sono in comunione tra loro. E' sorprendente questo nome che viene da Lui: i suoi discepoli non li ha chiamati "cristiani", ma "amici". L'amicizia, secondo S.Tommaso, è il vertice dell'amore, è la possibilità di essere vicendevolmente intimi dell'intimità che viene da Dio. Ed è delineata pure una stupenda immagine della sua comunità: una comunità di amici, non di schiavi, a cui egli ha rivelato tutto ciò che ha ricevuto dal Padre. Una comunità di persone libere, perché amate da Lui; non di "iniziati", che hanno segreti di mantenere, ma trasparenti della verità del Padre. Una comunità non nata da persone che hanno scelto il loro "maestro", che trovano la loro "identità" in loro ideali, che si misurano dai risultati che loro si sono proposti di ottenere: una comunità di persone chiamate e amate da Lui, che in Lui trovano la loro "identità" e che, rimanendo in Lui, sono mandate per portare al mondo l'unico frutto che conta: il suo Amore.
I suoi discepoli sono coloro, oggi siamo noi, a cui egli rivolge il suo implorante comando: "Amatevi gli uni gli altri".