Omelia (15-04-2012)
don Alberto Brignoli
Dubito, dunque credo

Non è detto che andare alla ricerca di certezze riguardo al sacro sia segno di mancanza di fede. Addirittura, oserei dire che nemmeno il dubbio, in un'esperienza credente, è sintomo di poca fede. Con tutta onesta, ho sempre provato una certa simpatia per coloro che di fronte ad una realtà così misteriosa e piena di fascino come l'Assoluto si sono posti degli interrogativi, a volte magari anche un po' sfrontati e spregiudicati, ma che sicuramente sono sintomo di un desiderio di ricerca.
Non mi riferisco solo ai filosofi, ai maestri del sospetto, ai pensatori laici di ogni epoca o agli scienziati che sottopongono la Rivelazione a tutta una serie di prove oggettive che la Rivelazione spesso non può e non ha nemmeno intenzione di offrire; mi riferisco pure (soprattutto, direi) ai grandi credenti di ogni religione, ai santi della nostra tradizione cristiana, pochi dei quali possono vantare una vita ascetica e spirituale priva di ombre, di incertezze, di dubbi, di passi falsi ed anche di incoerenze.
Da Pietro che non riesce ad imitare il suo Maestro nel camminare sulle acque perché dubita della sua presenza, fino ai testi di Madre Teresa di Calcutta in cui definisce se stessa in uno stato di "notte perenne" rispetto a Dio, passando attraverso le esperienze drammatiche della spiritualità dell'angoscia di Giovanni della Croce, di Teresa d'Avila, di Francesco d'Assisi...
E allora, come è possibile dare dell'ateo o del miscredente a Tommaso, solo perché ha voluto vederci chiaro di fronte al Maestro, morto in croce, ma che tutti affermavano aver visto nuovamente in vita? Non siamo forse anche noi spesso così? A volte siamo pure peggio, visto che il nostro cammino di fede non sempre riesce ad arrivare ad espressioni così belle come quelle di Tommaso quest'oggi: "Mio Signore e mio Dio".
Siamo onesti: chi di noi non ha mai avuto dubbi di fede? Chi di noi, pur professandosi credente e cercando di condurre una vita il più possibile coerente con gli insegnamenti del Vangelo, non si è mai posto delle domande, implicite o esplicite, su Dio?
"Sarà esistito storicamente, Gesù di Nazareth? O non sarà un'invenzione di alcuni mistici un po' fanatici?";
"Ma questo fatto della Resurrezione dai Morti, com'è conciliabile con gli elementi scientifici sulla vita che abbiamo attualmente in mano?";
"Se Dio esiste davvero ed è buono, perché c'è il male nel mondo? E perché lui lo permette? Non tutto è imputabile all'uomo: pensiamo alle catastrofi naturali, alle malattie incurabili, alle migliaia e migliaia di vittime innocenti... ";
"Perché mai devo credere in Dio, se anche da un punto di vista puramente umano posso comportarmi come si comporta un credente, e magari anche meglio, considerata l'incoerenza di vita di tanti cristiani?";
"Dov'è Dio, quando abbiamo bisogno di lui...?".
Potremmo proseguire all'infinito, citando paradigmatiche domande che ogni uomo, chi più e chi meno, in ogni epoca storica, si è posto nella vita, spesso senza trovare un'adeguata risposta, ma non per questo smettendo di essere uomo di fede, o dichiarandosi necessariamente miscredente o ateo. Perché poi occorre verificare che l'ateismo esista, se per ateo intendiamo uno che non crede in un'entità superiore o "altra" a quella puramente umana, in qualcosa che ci sovrasta, ci domina, ci riempie di fascino, e ci fa interrogare sul senso dell'esistenza.
Io non credo che un ateo così possa esistere. Può esistere un ateo che non dia a questa entità "altra" il nome di Dio; ma non credo esistano uomini sulla terra che non si lascino interpellare da una realtà superiore a quella puramente umana o che non si facciano interrogare dal Mistero, da ciò che è trascendentale, da ciò che trascende la fisicità, il "metafisico", appunto. E nemmeno penso che esistano persone che non sentano la difficoltà di dare un senso al proprio esistere.
Perché tutti siamo così, un po' santi e un po' dannati, un po' credenti e un po' atei, un po' devoti e un po' dubbiosi. Tutti. Anche - o forse soprattutto - coloro che hanno più familiarità con Dio, anche noi che viviamo delle "cose di Dio", anche noi che abbiamo consacrato la nostra vita a lui.
Se noi uomini e donne di Chiesa vivessimo un'esperienza di Dio priva di domande, di interrogativi, di battute d'arresto, correremo il rischio di essere gente senza prove, e quindi senza sofferenze, e quindi senza croci, ovvero privi di passioni.
Dio liberi noi preti dall'essere preti senza passione per Lui, preti che non fanno fatica a stargli dietro, preti per nulla "appassionati" di Dio, preti che non carichino sulle proprie spalle la croce e non lo seguono, perché ciò vorrebbe dire che non siamo degni di essere chiamati suoi discepoli!
Dio ci liberi da una fede talmente sicura di sé da diventare orgogliosa, superba, oppressiva, disprezzante nei confronti di chi fa fatica a credere perché provato dalla vita!
E Gesù liberi la sua Chiesa da uomini e donne che per il solo fatto di essersi consacrati a lui si sentono incrollabili nella fede, imperturbabili e perfetti.
La Chiesa, oggi, non ha bisogno di "signori" e di "divinità" della fede perché oggi come allora c'è un solo Signore e un solo Dio, quello che ha pazienza, che ti usa misericordia, ti rialza quando la tua fede vacilla e poi cadi, e che ti porta poi a professare come Tommaso: "Tu sei il Mio Signore; Tu sei il Mio Dio".
La Chiesa oggi ha bisogno di testimoni credibili della fede, di gente che fa fatica, che a proposito di Dio ha mille dubbi al giorno, ma che nonostante tutto sia capace di affidarsi a lui e di andare avanti, perché sa che è lui che conduce la nostra vita.
Occorre, soprattutto, gente che non vive la sua esperienza di fede come un fatto isolato, ma come un momento di condivisione con una comunità di fratelli, che vive delle stesse gioie e delle stesse fatiche della fede.
L'errore di Tommaso non è stato il suo dubitare, ma il fatto di voler fare a meno di stare con i suoi fratelli, di separarsi da loro già la sera stessa di Pasqua, di volersi costruire una fede a sua misura. Tommaso salverà la sua fede "otto giorni dopo", cioè la domenica, il Giorno del Signore, il giorno in cui accetterà di tornare a riunirsi con la sua misera e titubante comunità per essere, con i suoi fratelli, "un cuor solo e un'anima sola", pur senza togliere tutta la fatica del credere.
Perché nessun cristiano, per quanto personalmente perfetto, può sperare di salvarsi senza il riferimento a una comunità di fede. E soprattutto, nessuno può avere la superbia di ritenersi capace di salvezza senza mai essere passato attraverso l'esperienza difficile ma appassionante del dubbio di fede.