Omelia (18-03-2012)
don Roberto Rossi
Perché il mondo si salvi

Dio "ricco di misericordia", all'umanità immersa nelle tenebre del peccato, offre una luce infinita: Cristo innalzato sulla croce per la salvezza di tutti e di ciascuno.
"Dio ricco di misericordia". Dio è amore infinito; Lui l'onnipotente, l'eterno, il creatore dell'universo, non è lontano da noi, ma esprime tutta la sua "ricchezza" nell'amore, nel perdono, nella misericordia, Dio è padre, Dio è madre; "Dio non può che donare il suo amore", Dio è pace, Dio è vita, Dio è tutto e ci vuol dare tutto, perché è Amore.
L'amore di Dio è la fonte della nostra gioia, di ogni gioia, di ogni consolazione: ecco perché questa domenica è chiamata la domenica della gioia.
A metà quaresima, oggi c'è un particolare invito alla fiducia, alla serenità, alla gioia. E' possibile questo, nelle situazioni così preoccupanti e drammatiche che vive l'umanità in questi giorni? Coi problemi che tutti noi siamo chiamati ad affrontare nella vita individuale, di famiglia, di lavoro? Sono riprese le parole del profeta Isaia che dice: "Rallegrati, popolo di Dio. Esultare e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell'abbondanza della vostra consolazione"! L'abbondanza della nostra consolazione, il fondamento e la possibilità della fiducia e della serenità è il Signore, è il suo amore infinito. Abbiamo pregato nel salmo: "Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia, la nostra pace".
Poi la seconda lettura ci ha detto: "Dio, ricco di misericordia, ci ha amati di un grande amore, perciò, da morti che eravamo, ci ha fatti rivivere in Cristo".
Il Vangelo ci ha riportato nel dialogo tra Gesù e Nicodemo che è andato da Lui nella notte: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito".
Dio ha tanto amato il mondo Dio ama di un amore infinito, unico, inimmaginabile l'umanità e ciascuno di noi suoi figli. Dio ci ama! Proviamo a pensare, ad avvertire il brivido di questa altezza: Dio e l'uomo e, tra essi, amore!
Abituati ad immaginarsi un Dio esigente, che formula continue ri­chieste, a volte difficili, e domanda sacrifici, gli uomini faticano ad accet­tare un Dio che non domanda, ma dona, che non esige, ma offre, che non esercita il suo potere per giudicare e condannare, ma per salvare e liberare dal male. Difficilmente si sarebbe previ­sta una simile realtà, ma in Gesù è proprio questo che si è manifestato.
Perché la logica che presiede a tutto non è quella del potere, della forza, della superiorità, ma dell'amore. «Dio ha tanto ama­to il mondo... da dare il suo Figlio». Un amore che offre, che dona: Dio dà ciò che ha di più prezioso, il suo Figlio, perché diventi causa di salvezza per tutti. E che cosa si deve fare per essere liberati, cambiati, rigenerati? Ba­sta «credere» nel Figlio, basta affidarsi a lui. La fede qui, naturalmen­te, non coincide con l'accettazione di alcune verità. È piuttosto uno slancio, un atteggiamento di abbandono, una relazione di fiducia. Cre­dere nel Figlio significa affidarsi a lui, mettere la propria vita nelle sue mani e ricevere, in cambio, la vita eterna. Non una vita qualsiasi, non un frammento un po' più lungo, ma una vita che sgorga nell'eternità, una vita che assume i connotati della vita di Dio.
Quest'esperienza, che caratterizza la vita del cristiano, Gesù ci invita a leggerla anche da un altro angolo di visuale. È' un «venire alla luce», un rinascere. Si esce dal tunnel oscuro delle tenebre, dalla regione della confusione e dell'insicurezza: si approda alla regione della luce in cui la verità appare in tutta la sua bellezza.
Perché gli uomini hanno rifiutato questa luce? Perché hanno rinunciato a questa proposta di salvezza? Perché hanno preferito le tenebre alla luce? La risposta che Gesù ci dà è molto semplice: chi fa il male non ama la luce, non la tollera, non la sopporta. Chi si è ormai abituato alle te­nebre si trova a disagio quando incontra persone e fatti di luce. La luce desta la speranza, è vero, ma in coloro che vo­gliono vedere ciò che li circonda. La luce è amata, certo, ma da quelli che desiderano conoscere, scandagliare ogni zona del proprio cuore, anche la più profonda. Sono quelli che «operano», «fanno» la verità. Non si limitano a parlarne, a capirla, vogliono che diventi realtà della loro vita e della storia.