Omelia (18-12-2011)
padre Ermes Ronchi
Nella vita quotidiana Dio parla il linguaggio della gioia

L'annunciazione si apre con l'e­lenco di sette nomi propri di luoghi e persone (Gabriele, Dio, Galilea, Nazaret, Maria, Giuseppe, Da­vide) per indicare, attraverso il numero sette che simboleggia la pienezza, la to­talità della vita. Non ai margini, ma al centro della vita Dio viene, come even­to e non come teoria. Un giorno qualunque, un luogo qualunque, una gio­vane donna qualunque: il primo affac­ciarsi del Vangelo è un annuncio con­segnato in una casa. Al tempio Dio pre­ferisce la casa. È bello pensare che Dio ti sfiora non solo nelle liturgie solenni delle chiese, ma anche - e soprattutto ­nella vita quotidiana. Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca, lo fa in un giorno di fe­sta, nel tempo delle lacrime o quando dici a chi ami le parole più belle che sai. La prima parola dell'angelo non è un semplice saluto, ma: Chaîre, sii lieta, gioisci, rallegrati! Non ordina: fa' questo o quello, inginocchiati, vai, prega... Ma semplicemente, prima ancora di ogni risposta: gioisci, apriti alla gioia, come una porta si spalanca al sole. Dio parla il linguaggio della gioia per questo se­duce ancora. E subito aggiunge il per­ché della gioia: piena di grazia, riempi­ta di tenerezza, di simpatia, d'amore, della vita stessa di Dio. Il nome di Ma­ria è «amata per sempre». Il suo ruolo è ricordare quest'amore che dà gioia e che è per tutti. Tutti, come lei, amati per sempre.
Maria fu molto turbata. Allora l'angelo le disse: Non temere, Maria. Non teme­re se Dio non sceglie la potenza, non te­mere, l'umiltà di Dio, così lontana dal­la luci della scena, dai riflettori, dai pa­lazzi; non temere questo Dio bambino che farà dei poveri i principi del suo re­gno. Non temere l'amore.
Ecco concepirai e darai alla luce un Fi­glio, che sarà Figlio di Dio. La risposta di Maria non è un 'sì' immediato, ma u­na domanda: come è possibile? Porre domande a Dio non è mancanza di fede, è stare davanti a Lui con tutta la dignità di creatura, con maturità e consapevo­­lezza, usare tutta l'intelligenza e dopo accettare il mistero.
Solo allora il 'sì' è maturo e creativo, po­tente e profetico: eccomi sono la serva del Signore. Serva è parola biblica che non ha niente di passivo, non evoca sottomissione remissiva; serva del re è la pri­ma dopo il re, è colei che collabora, con­creatrice con il creatore. E l'angelo partì da lei. Un inedito: per la prima volta in tutta la Bibbia è ad una creatura della terra, ad una donna, che spetta l'ultima parola nel dialogo tra il cielo e la terra: nuova dignità della creatura umana.
La tua prima parola, Maria, / ti chiedia­mo di accogliere in cuore: / come sia possibile ancora /concepire pur noi il suo Verbo (Turoldo).