Omelia (28-11-2011)
Monaci Benedettini Silvestrini
"Verrò e lo guarirò"

È la risposta di Gesù alle fervente preghiera del Centurione. È la voce supplice di un pagano che implora la guarigione per il suo servo gravemente infermo. Acquista una particolare efficacia la preghiera quando è rivolta al Signore non per noi stessi, ma per un nostro fratello, ancor più se si tratta di un servo a cui poco o nulla era dovuto a quei tempi. È una testimonianza di un amore fraterno che subito apre il cuore del Signore. Viene spontaneo poi pensare che la preghiera di quello straniero possa rappresentare la supplica dell'intera umanità pagana che inconsciamente anela la verità e la salvezza. Anche noi provenienti dal paganesimo come il centurione, anche noi servi come il suo servo, siamo nella terribile sofferenza e paralizzati del peccato e dalle tristi conseguenze che ne derivano. È quanto ci è accaduto sin dal principio. Quel "verrò" è quanto ci è stato promesso sin dall'inizia. È il motivo che, nonostante le peripezie, le infedeltà e i tradimenti è servito a tenere desta la speranza di un intero popolo. Il motivo che anche nelle più grandi sciagure ha fatto proclamare ai profeti incessantemente "verranno giorni" e spunterà un virgulto nuovo, il germoglio del Signore splenderà, finirà la schiavitù... Anche dinanzi al grande disastro nazionale dell'esilio che poteva segnare la fine di un popolo e la morte della fede nell'Unico Signore, mai si è assistito all'abbandono da parte di Dio. Anzi quel "verrò" diventa l'esplicita dichiarazione, oggi proferita da Cristo, che Egli viene con potenza e sempre interviene nel nostro mondo e nel Natale assume nel Figlio la nostra carne. Significa quindi anche l'incessante premura paterna di Dio, che si fa più intensa quando ci vede malati o schiavi o comunque più bisognosi di un suo intervento salvifico nella nostra storia. Non possiamo non leggere la parole di Gesù come un gioioso preannuncio del Natale. Egli verrà e ci guarirà!